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XXVII.



In questo capitolo tocca l’autore d’alcune signorie che al suo tempo regnavano le cittadi di Romagna; poi introduce a parlare lo conte Guido da Montefeltro, e recitare di sua vita al mondo; poscia tocca alcuna cosa della disposizione che conviene avere l’uomo in ricevere lo sacramento della penitenzia. Circa la quale cosa è da sapere che principalmente s’offende a Dio in tre modi, cioè pensando, delettando e operando, e cosi quelli che in tale offensione caggiono, in tre modi si liberano, cioè confìtendo, contristando e per opera satisfaciendo. Confìtendo: imperquello che a perficere lo sacramento della penitenzia li conviene assegnare materia e forma; materia è lo peccato, forma è la solvigione del prete; e però se mai non si confessasse alcuno, quella forma non potrebbe sopravvenire alla detta materia, e per consequens quel peccato non arebbe lo detto sacramento della penitenzia. Similemente è bisogno che l’uomo abbia la contrizione del peccato ch’elli ha commesso, acciò ch’elli abbia integro questo sacramento di penitenzia, sicome dice san Gregorio in le Omelie quadregesimali: Penitentia animae est acta peccata flere etc, ad esso soggiunge, et flenda non committere. Ancora richiede di necessitade che ’l peccatore sia contrito, in per quello ch’elli è materia di questo sacramento, e s’elli non fosse disposto, mai non acquisterebbe la forma d’esso, sicome dice Aristotile in libro De generatione et corruptione: cum materia est disposita per alterationem præcedentem, forma substautialis acquiritur. E questo è quello che dice l’autore in persona del conte Guido: Ch’assolver non si può chi non si pente, quasi a dire: la grazia infusa per lo prete quanto vuole sia preclara e valevile, ed abbia ragione formale s’ella non truova la materia disposta, non confice lo predetto sacramento. E però dice san Tomaso d’Aquino, questione CXIII articolo V, Primæ secundæ: — Oportet quod in iustifcatione inpii sii motus liberi arbitrii duplex, unus quod per desiderinm tendat in Deum iustitiam, et alius quo detestatur peccatum. Sichè pur ha bisogno che disposizione sia in essere contrito e pentito. E fa distinzione Tomaso predetto nella terza parte, questione LXXXV che pentire s’hae in due modi, e secondo atto e secondo abito; secondo atto non è necesso che sempre duri, perchè quando si dorme o è fatta la satisfazione e secondo a lui commessa, ha fine tal pentire; ma secondo abito è necesso che sempre duri acciò che sempre siamo abituati a vertude e a guardarci dal peccato; e però dice elli che: pœnitentia interior semper debet durare, exterior ad tempus secundum mensuram peccati.