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396 INFERNO. — Canto XXIV. Verso 74 a 91


     Chè com’i’ odo quinci e non intendo,
     Così giù veggio, e niente affiguro. 75
Altra risposta, disse, non ti rendo,
     Se non lo far: che la dimanda onesta
     Si dee seguir coll’opera tacendo.
Noi discendemmo il ponte dalla testa,
     Ove s’aggiunge coll’ottava ripa, 80
     E poi mi fu la bolgia manifesta:
E vidivi entro terribile stipa
     Di serpenti, e di sì diversa mena,
     Che la memoria il sangue ancor mi scipa.
Più non si vanti Libia con sua rena; 85
     Che, se chelidri, iaculi e faree1
     Produce, e ceneri con amfisibena, *
Nè tante pestilenze ne sì ree
     Mostrò giammai con tutta l’Etiopia,
     Nè con ciò che di sopra il mar rosso èe. 90
Tra questa cruda e tristissima copia

  1. V. 86. Chi volle Cliersi, chelidri.... Producer... mostrò non intese quel che si faceva. Del resto V. la nota al Commento. Correggo amfisibena dove altri scrisse Anfesibena, perchè gli antichi scrisser come i latini amphisibena. L’ha eziandio il Codice Cassinese. il verso 86 è anche dei tre dell’Università bol. e di BP, BC, e del Landiano.




V. 77. Qui tratta della condizione dei peccatori che sono puniti nella settima bolgia, li quali punisce con serpi, assimilando li serpenti al pensiero del peccatore; e dice che vide nella detta bolgia una terribile stipa di peccatori e di serpi, li quali erano si diversi che ancora lo sangue tutto, ricordandosi d’essi, ne trema.

85. Più non si vanti. Libia è una contrada sotto quella regione caldissima, inabitabile per lo caldo, nella quale è diversissima spezie di serpenti e figure, e uno terreno renoso cioè sabbionoso, e ivi sono idri, e ivi sono iaculi, e ivi sono faree, e tutti sono maniere di serpenti; el simile sono ceneri e anfisibene1. Or dice elli che la detta bolgia ha tolto a Libia lo vanto della diversità di serpenti, quasi a dire: elli li n’è più troppo che in Libia.

88. Cioè che nè Etiopia nè le rive del mar Rosso non produsseno cotante generazioni di serpi.

91. Cioè tra questa copia di uomini e di serpi correvano peccatori nudi e spaventati senza speranza di pertusio, cioè di bucame

  1. È nota anche qui che il testo dantesco avuto dal Lana e il Cass. non aveai Chersi voluti da coloro che protendono che il passo di Lucano fosse slato tradolto appuntino. L’Ottimo, che pur nomina questi animali, dice: »connumerare qui cinque generazioni di serpenti di Libia, ciò sono idre, jaculi, faree, centri (cencri) anfesibene». Nè fa menzione di Chersi quando da conto di ciascuno di quelli animali dimenticando per altro il cencro e due volte (una per Isidoro, una per sè) parlando del chelidro.