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XXIV



In quella parte del giovinetto anno. In questo capitolo dopo alcune parole ed esempli messi in esso per cagione d’ampliare sua materia, poeticamente intende di trattare della pena dei ladroni, li quali commiseno furti nel mondo. Circa lo qual peccato è da sapere che furto non è altro clie tòrre l’altrui cosa, overo cose, occultamente; e però in prima è da sapere se gli uomini ponno le cose esteriori, cioè le ricchezze, naturalmente possedere, imperocchè se naturalmente non si possono le esteriori cose possedere, nessuno se le potrebbe appropriare; e se alcuno se le potesse appropriare, così potrebbeno essere tolte l’altrui cose, e per consequens non sarebbe tòrre l’ altrui cosa furto, imperocch’ ella non sarebbe d’altrui.

Veduto questo è poi da distinguere li modi e li abiti in che si commette lo peccato del furto deffiniendo quale agrava più l’anima in le pene dello inferno. Secondo l’autore della presente Comedia, fuvvi alcune opinioni, le quali tegneno che le esteriori cose, cioè tutto quello che è dalli propri membri della persona in fuori, licitamente non si potea possedere dalli uomini, e tutto ciò che si adovrava o usava era illicito, e per conscquens peccato; contra lo quale errore è lo Psalmo: Omnia subiecisti sub pedibus eius.

Circa la quale possessione è da sapere che nelle cose mondane è doppia possessione: la prima è possedere e mutare la natura delle cose, e questa possessione è sola di Dio, il quale lo creò di niente: la seconda possessione è possedere l’uso delle mondane cose, e questa possessione possono possedere li uomini giusta e licitamente. E provasi questo; in primo per lo Genesis, primo: faciamus hominem ad imaginem et similitndinem nostram etc., et praesit piscibus maris etc. Ancora si prova per lo Filosofo in primo della Politica: possessio rerum, exteriarum est homini naturaliter. Sichè chiaro appare che le esteriori cose possono licitamente essere possedute dalli uomini.

Un’altra oppinione è che ben licitamente si potea possedere le esteriori cose dalli uomini in comune, ma non in proprio, per la qual cosa quelli che si apropriava alcuna cosa facea peccato.

Circa la quale propria possessione è da considerare due cose. La prima è che a volere licitamente procurare d’acquistare una cosa, e licitamente poterla dispensare sicome in giubilazioni e in elemosine, si fa bisogno che l’uomo licitamente si ne possa avere per propria possessione, e altramente ogni elemosina ch’elli facesse sarebbe vana, sicome dice santo Agostino in libro De verbis domini: