Pagina:Commedia - Inferno (Lana).djvu/364

360 INFERNO. — Canto XXI. Verso 85 a 99

Allor gli fu l’orgoglio sì caduto, 85
     Che si lasciò cascar l’uncino ai piedi,
     E disse agli altri: omai non sia feruto.
E il Duca mio a me: tu, che siedi
     Tra gli scheggion del ponte quatto quatto,
     Sicuramente omai a me ti riedi. 90
Perch’io mi mossi, ed a lui venni ratto;
     E i diavoli si fecer tutti avanti,
     Sì ch’io temetti non tenesser patto.
E così vid’io già temer li fanti
     Ch’uscivan patteggiati di Caprona, {{|95}}
     Veggendo sè tra nemici cotanti.
Io m’accostai con tutta la persona
     Lungo il mio Duca , e non torceva gli occhi
     Dalla sembianza lor ch’era non buona.




V. 85. Dice che quando Malacoda ebbe intesa tale commessione essere fatta a Virgilio, incontanente li cadde l’orgoglio, e gittò a terra l’uncino overo graffio, e alli altri ordinò: non sia fatto a costui alcuna ingiuria.

88. Segue il poema mostrando come lo chiamò.

92. Quasi a dire elli erano voluntarosi d’avere alcuno in sua custodia: per la qual visione elli temette che i demonii non attenesseno patto a Virgilio per loro a lui promesso.

94. Qui dà esemplo a suo timore e dice che quelli fanti ch’uscirono di Caprona ebbero già tal pausa. Caprona è uno luogo in montagna molto forte, ed è nel contado di Pisa. Fur lì li fiorentini ad oste, e questi si tennero infine ch’ebbero vittuvaglia da potere vivere, imperquello che per forza non poteano elli essere dannificati; furono li fanti, cioè li uomini che guardavano questo luogo, così pertinaci, che si lassorono a dispetto e con danno de’loro nemici condurre a tanto, ch’elli non avean più vittuaglia. Ed allora patteggionno con quelli dell’oste di renderli la fortezza ma voleano salve le persone; e quelli di fuora, sicome stanchi e affaticati, tolseno lo partito volentieri.

Or avenne che quando li ditti fanti usciron dalla ditta fortezza, quelli dell’oste che aveano loro promesso salvamento delle persone, sì li tagliaron tutti a pezzi. Sichè questi fanti veggiendosi si mal menare, erano timidi e tremanti, infine che a loro venia la volta di essere tagliati.

Tutto, dice l’autore, era simile di lui, ch’elli pur temea che li demonii non lo arruncigliasseno.

97. Segue lo poema dicendo com’erano sospinti dal voler pure farli noia, e come insieme l’uno mormorava coll’ altro, dicendo l’uno: vuoi ch’io il tocchi? cioè: con lo graffio? l’altro rispondea: sì, ma sia sul groppone: e così adescava l’un l’altro.