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INFERNO. — Canto XVI. Verso 109 a 123 290

Poscia che l’ebbi tutta da me sciolta,
     Sì come il Duca m’avea comandato, 110
     Porsila a lui aggroppata e ravvolta.
Ond’ei si volse inver lo destro lato,
     E alquanto di lungi dalla sponda
     La gittò giuso in quell’alto barrato.
E più convien che novità risponda, 115
     Dicea fra me medesmo, al nuovo cenno
     Che il Maestro con l’occhio sì seconda.
Ahi quanto cauti gli uomini esser denno
     Presso a color, che non veggon pur l’opra,
     Ma per entro i pensier miran col senno! 120
Ei disse a me: Tosto verrà di sopra
     Ciò ch’io attendo e che il tuo pensier sogna;
     Tosto convien ch’al tuo viso si scopra.




V. 109. Segue lo poema mostrando come per coscienza e consiglio acquistato da Virgilio, cioè da perfetta cognizione umana, elli si assolvette e liberossi da fraude.

112. Poetando vuol dire che a lui parea andando in tal viaggio che omai fosse tempo di trattare dei vizii, li quali sono sottoposti a fraude; e però mette che ’l poeta gittasse quella cintola, per modo di richiamo, giuso.

115. Qui ne insegna una moralità molto bella che quando l’uomo vede uno savio che faccia una novità non dee di presente giudicare: ello fa a tal fatto, ma aspettare quello che adiverrà, e poi se non li pare ragionevile, dimandare. E questo dice elli perchè li savii non solo vedono l’ovra e lo effetto di quello che fanno, ma collo suo senno mirano li pensieri che sovra ciò per altri son fatti. E però soggiunge che il savio suo li disse: tu vedrai tosto quel dì che tu pensi.


    l’alpe, voleano in quel luogo, assai comodo d’abitare e fare un castello »e riducervi entro molte villate dattorno di lor vassalli; poi morì colui che questo più che alcuno degli altri metteva innanzi, e cosi il ragionamento non ebbe effetto; 1) e questo è quello che l’autor dice Or dovea per mille, cioè per molti, esser ricetto, cioè stanza e abitazione» (Vol―3 p. 250 Ediz. Moutier Fir. I832). Il Cod. dell’Università di Bologna che io ho segnato BV e che fu dal Monistero di San Paolo al Monte porta una chiosa latina che dice press’a poco allrettale; (senz’esser commento dell’Imolese, come fu creduto) e il Cod. anonimo pubblicato in saggio nell’ Etruria (II p. 44!) ha che que’conti furon de Guidi da Monteganello. Questo tratto sta eziandio nel Laurenziano XC, 121, ma sembra inteipolamento posteriore d’assai come della favola che ne correva. Il Cod. Di Bagno che proviene da antico nol reca; il Codice Riccardiano l’)23 del scc XV memora tal glossema quasi colle sresse parole. È da notare che amendue i Codici sono multo lontani dal tempo di Dante. A questo punto era un brano che s’è mandato a far testa al proemio del Commento pel canto XVII; poi un lungo tratto che s’è messo al seguito del proemio al canto XVII come volea ragione.