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INFERNO. — Canto XVI. Verso 76 a 91 293

Così gridai colla faccia levata:
     E i tre, che ciò inteser per risposta,
     Guatar l’un l’altro, come al ver si guata.
Se l’altre volte sì poco ti costa,
     Risposer tutti, il satisfare altrui, 80
     Felice te, che sì parli a tua posta.
Però se campi d’esti luoghi bui,
     E torni a riveder le belle stelle,
     Quando ti gioverà dicere: Io fui,
Fa che di noi alla gente favelle: 85
     Indi rupper la ruota, ed a fuggirsi
     Ale sembiaron le lor gambe snelle.1
Un ammen non sarìa potuto dirsi
     Tosto così, com’ei furo spariti:
     Perchè al Maestro parve di partirsi. 90
Io lo seguiva, e poco eravam iti,


  1. V. 87. Non ostante che il R. e la Vind. i tre dell’università bolognese e il Land, sostengano il Witte io evito il sembiar che dopo l’infinito fuggire sta male, e sta male anche per lo spondeo fuor di luogo e sto quieto col Cortonese, col Laur. XL, 7, il Cassin , il Vat del Boccaccio, le più antiche e migliori edizioni.




cioè le femine; le quali superfluità disordinano sì le possanze dell’anima, come la estimativa, e la cognoscibilità dell’anima ch’ella non s’accorgie ch’ella cade in vizio, e questo è per superfluità di superbia.

V. 76. Dice che ’l disse ad alta fronte, quasi a dire: io ti dico vero.

79. Qui segue il poema mostrando che in meno parole non si poria dire la substanzia dell’essere vizioso di Firenze e ch’elli era tale è sì adatto alle risposte ch’era felice, cioè avventurato.

82. Qui le tre sopradette anime con scongiuro l’imposeno ch’elli facesse menzione d’elli al mondo, cioè in questa poetria. Circa la quale imposizione è da notare che quando l’anime dannate fanno menzione della vita mondana, elle la esultano applicando ad essa adiettivi d’allegrezza, diletto e bontade, sicome dolce, allegra e buona e sana etc. E però dice: E torni a riveder le belle stelle, cioè torna nella vita mondana.

86. Segue lo poema come si partino dal colloquio, e come velocissimamente si partiron dal circolo, e fenno moto lineale sì come anzi che lo trovasseno prima il faceano, e dà comparazione al suo moto, dicendo che parveno alle sue gambe, e che questa parola Amen non si porìa esser detta in quel tempo ch’elli sparinno, per la sua velocità, del suo viso.

91. Segue il suo poema mostrando come gran rumore vi sonava dal fiume infernale, ed era di tanta frazione d’aire, che quasi corrompèo lo senso dell’udito, secondo lo detto d’Aristotile in De sensu et sensato:Excellentia sensibilium corrumpit sensum.