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INFERNO. — Canto XIII. Verso 56 a 66

<poem>

    Ch’io non posso tacere; e voi non gravi
    Perch’io un poco a ragionar m’inveschi.

Io son colui, che tenni ambo le chiavi

    Del cor di Federigo, e che le volsi
    Serrando e disserrando si soavi, 60

Che dal segreto suo quasi ogni uom tolsi:

    Fede portai al glorioso ufizio.
    Tanto ch’io ne perdei le vene e i polsi.1

La meretrice, che mai dall’ospizio

    Di Cesare non torse gli occhi putti, 65
    Morte comune , e delle corti vizio,
  1. V. 63. Qui è grande questione tra chi accetta vene e chi sonni. Alcuno codice è, come il LII marciano, il parmense 18, e 1’ ed. 1472 Mantova, portatore di sensi; la iesina, il Cod. Filippina hanno sonni, e la ediz. di Roma sonno; e al sonni molti sono. La stessa Vindolina e il Rice hanno i lor lesti col sonno; ma non è cosi ne’ Commenti. I commenti hanno vene; e vene ha il Cod. parmense del 1575, e v’è di più che questa forma o frase è già espressa al v. 90 del Canto prima dov’è un esempio della Tav. ritonda A quello esempio si possono aggiungere i due altri di pag 110 e 5-2 , e aver occhio alla pag. 505 dello stesso testo che dà le arterie per circustanze del cuore. Il Gregoretti con molta ragione notò che » A chi muore si arresta nelle vene la circolazione del sangue, e il moto di esso nelle arterie, il quale come allora i medici credevano, fa battere i polsi, io sto colle vene e i polsi, cioè come Lana dice il sangue e lo spirito.

V. 58. Costui fue Piero delle Vigne cancellieri dello imperadore Federigo secondo, lo quale era per lo suo offizio segretario del detto Imperadore, ed era tanto inanzi alla corte, che elli più volte scrisse e rispuose a lettere lo si e ’l no, come parca a lui: e seppe fare sì ch’altri non era del segreto consiglio dello Imperadore se non lui. Or per invidia fue accusato allo Imperadore ch’ elli avea revellato a papa Innocenzio alcuni segreti dello Imperadore , non essendo in vera amistà l’uno con l’altro: sichè lo Imperadore lo fe’ prendere, e fèllo abacinare , e questo fu a San Miniato del Todesco; poi in processo di tempo facendolo portare a Pisa in su uno asino lo Imperadore, fu per li somieri tolto giuso, e messo ad uno ospedale perchè reposasse, e questo battè tanto lo capo al muro che morì1. 62. Qui si scusa Piero predetto che non fe’ la detta rivelazione; anzi durò tanta fatica nel predetto offizio che ’l ne perde e vene, cioè sangue, e polsi, cioè spirito. 64. Qui intende la invidia che è tra famigliari e consiglieri. 65. Dì Cesare, cioè Imperadore. 66. Morte, cioè che è comunemente delle sorti de’ baroni.

  1. Jacopo Dante il fa percoter il capo in muro nel borgo (fossa) arnonico. Il Laur. XXVI, sin 2 nulla dice dello abbacinamento nè della morte. Il Cod. Grumello tace di tutto dopo l’ accecamento. Il Catalogo dell’esposizione letterata pel centenario sesto di Dante avverte che un Ms. pisano del secolo XIV, e parvente del primo tempo, ha che Pier dalle Vigne si gettò da un mulo a terra e spaccossi il cranio, e mori in S. Andrea , per non essere lapidato.