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XIII.


In questo capitolo intende l’autore trattare di quella seconda ingiuria che si fae a sé medesmo in prima, e poi alle sue cose, sicome propuose nel XI capitolo, e punisceli nel secondo cerchietto del primo girone: punisce in prima quelli che ancidono sè stessi in cotal modo, ch’elli li fa diventar àlbori senza foglie, e sopra questi àlbori fa pascere arpie, le quali sono una spezia di vermi con l’ale grandi, nere e rosse, hanno volto umano, tutto l’altro corpo è piloro a modo di topi; e queste arpie rodendo le brocche di tali arbori, fanno fori per li quali escon voci di sospiri e di lamenti, che fanno l’anime incarcerate in essi. Or fa tale transmutazione Dante per allegoria, ch’elli dice: l’uomo quando è nel mondo è animale razionale, sensitivo e vegetativo: quando ancide sè stesso, el conferisce a cotale morte solo la possanza dell’anima razionale e sensitiva, e però ch’hanno colpa in tale offesa, son privi di quelle due possanze; rimangli solo la vegetativa. Sichè di uomini si trasmutano in albori che sono animali vegetativi solo; le arpìe, han per allegorìa a significare la volontade assoluta, cioè la dr. E però, che così è contra la natura, pone l’autore che le dette arpìe sono animaletti fetidi e puzzolenti. Fa questi albori avere assai o poche brocche secondo di’ ebbe al mondo quell’anima malvagietade; fanne di quelli che sono apresso terra con molti stecchi e fogdie secche ed appellati cespuglio, quasi impacciamenti di frasche. Poi ch’ha puniti questi, punisce quelli ch’hanno gittata la sua robba, e poi ucciso sè stessi; e fanne caccia di loro facendoli perseguire e dilacerare a cagne nere, le quali hanno a significare per allegorìa: povertade e miseria, le quali sono arrabbiate condizioni. Poscia in fine del capitolo fa menzione della città di Firenze inanzi che Attila l’ardesse, e da poscia che fu rifatta sotto nome di san Jovanne Battista. E così finisce questo capitolo1. »Dividesi questo capitolo in cinque parti: nella prima parte sé continuando al presente canto, dice che Nesso centauro, che aveva loro fatta scala, non era ancora arrivato all’altra riva ritornandosi, quando Virgilio e l’autore sono entrati in un bosco dove non avea nè foglia verde nè rami schietti, ma noderosi; non frutti, ma spine tossicose; descrive questo bosco comparandolo allo bosco di Cecina e a quello di Corneto in Maremma nel qual bosco dice erano arpìe. »Nella seconda parte che comincia: Quivi è ’l buon Maestro certificasi che questo è il secondo girone nella seconda delle tre

  1. Siccome lutto il Proemio dell’Ottimo è questo stesso del Lana, ho con esso riempiuto il vuoto dei Codici e della stampa meircè questo tratto chiuso da doppie virgnole che non è nei Cod. del Lana.