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222 INFERNO. — Canto X. Verso 121 a 136

Indi s’ascose: ed io in ver l’antico
     Poeta volsi i passi, ripensando
     A quel parlar che mi parea nemico.
Egli si mosse; e poi così andando,
     Mi disse: Perchè sei tu sì smarrito? 125
     Ed io li soddisfeci al suo dimando.
La mente tua conservi quel ch’udito
     Hai contra te, mi comandò quel Saggio,
     Ed ora attendi qui: e drizzò il dito.
Quando sarai dinanzi al dolce raggio 130
     Di quella il cui bell’occhio tutto vede,
     Da lei saprai di tua vita il viaggio.
Appresso volse a man sinistra il piede:
     Lasciammo il muro, e gimmo in ver lo mezzo
     Per un sentier ch’ad una valle fìede , 135
Che in fin lassù facea spiacer suo lezzo.




parte ghibellina, e un solo non mi soccorre. Sichè mostrò in questo suo parlare, quando disse se è anima, ch’èlli non fusse certo d’avere anima, lo quale serebbe ed è grande errore.

V. 121. Qui segue suo poema mostrando com’era smarrito e pensoso di quello che li avea vaticinato, che Farinata, che dovea essere cacciato, inanzi che L lunari fusseno, fuori di Firenze.

127. Cioè prenda memoria del preditto detto.

131. Cioè di Biatrice: a lei è conto ogni cosa.

133. Compie suo capitolo mostrando come andò verso lo mezzo.



Nota. Al V. 13 di questo Canto l’ Ottimo ha molto di netto del Lana, e altra parte raffazzonata con esso. Al v. 100 ha parte del testo di S. Luca il quale nella Vindelina è al v. 97; poi tutto male adatto citando e traducendo i testi, e continuando col Lana alla tetterà. Col v. medesimo è un altro Commento e più preciso che pur dovea essere al 97. Del Lana è altresì quello che si legge al v. 106. È poi da avvertire che il proemio è un raccolto dall’attribuito al Boccaccio.