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INFERNO. — Canto X. Verso 103 a 115219

Quando s’appressano, o son, tutto è vano
     Nostro intelletto; e s’altri non ci apporta,
     Nulla sapem di vostro stato umano, 105
Però comprender puoi che tutta morta
     Fia nostra conoscenza da quel punto
     Che del futuro fia chiusa la porta.
Allor, come di mia colpa compunto,
     Dissi: Or direte dunque a quel caduto 110
     Che il suo nato è co’ vivi ancor congiunto.
E s’io fui dianzi alla risposta muto,
     Fat’ei saper che il fei, perchè pensava
     Già nell'error che m’avete soluto.
E già il Maestro mio mi richiamava: 115




E questo è ragionevile, perchè il Filosofo dice in la Metafisica: sensibile super sensum corrumpit sensum; cioè che se la cosa che deve essere veduta è posta suso l’occhio, non la vede l’occhio, ma s’ell’ è a proporzionevile distanza, elli la vede e discerne. Ancora come ne mostra Euclide in la Prospettiva, elli è necesso che ogni cosa che si vede, si veggia per triangolo; quando la cosa è sopra lo occhio, ella non può costituire triangolo1. Ora esemplificando per locum a simili, lo tempo presente non si vede perchè è come fusse su l’occhio; lo futuro, perchè è distante, si si vede. E perciò dice: quando s’appressano e sono, nostro intelletto è tutto vano, cioè insciente; e s’ello non gli è riportato per revelazione, com’è ditto di sopra, nulla sanno.

V. 106. E soggiunge qui di sua maggior maledizione che quando non sarà più tempo, cioè dopo lo die del giudizio, allor sarà morta ogni lor possanza di cognoscimento: solo saranno serrati nelli sepolcri, ed avranno le pene a loro per la giustizia di Dio ordinate.

109. Qui segue lo poema imponendo che fosse ditto al padre di Guido ch’elli vivea ancora, che fu ragion perch’elli non fu pronto alla risposta, quello dubbio che è dichiarato.

115. Segue lo poema facendo menzione che li era accompagnato Federigo secondo con più di mille. Questi Federigo secondo fu Imperadore, ed essendo nella regia imperiale a Roma, si s’avvide del mal reggimento che fanno delle cose sagre li mali pastori, e aviddesi che più ecclesie erano unite in rendita ad un prelato, che uno era canonico d’una chiesa, preposto d’un’altra, in prima vacanza dela terza, iconimo della quarta, sichè uno solo possedeva ed avea rendite da tre, quattro e cinque eclesie. Pensò di voler tòr via ed obviare tal difetto; considerò la grandezza e la possanza de’pastori; per più bello modo volle che elli stessi desseno lo giudizio in questo modo. Elli fe’ assembiare concistorio e propuose una così fatta

  1. Manca al R. e al Laur XC. 121. dalla parola quando sino a questa Trianqolo.