Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
172 | INFERNO. — Canto VII. |
san Gregorio dice: absit a fidelium cordibus ut fatum vel fortunam aliquid esse dicant. Ora è da sapere che la intenzione di Dante èhche questa fortuna sia uno effetto, particolare, lo quale è ignoto alla scienza mondana, vel umana, perchè, come dice Aristotile in La Posteriore: de particularibus non est scientia; ma è cagionata da alcuna generale constellazione. E raducendolo in li suoi pnncipii ello è natura, ma per comparazioni a’ savii uomini è fortuna cioè ventura che e: præter propositum: ed aducene san Tommaso in la prima parte uno bello esemplo in la questione di fatto.
Uno signore manda due fanti per messaggi in uno luogo; non sappiendo l’ uno dell’altro questi si truovono in lo luogo preditto. Se si riferisce lo viaggio a’ fanti questo è casuale perch’è senza loro intento e proposito: se si riferisce al signore che gli ha mandati e che preordinòe loro viaggio, questo non è a fortuna1. E così similemente se si riferisce alla scienzia naturale, cioè umana, questi particolari sono a fortuna, sicome cavando terra per uno sepolcro trovare tesoro, che il trovar tesoro è præter intentionem e però è a fortuna. Se si referisce alla natività parlando strologicamente in la tale età lo nato troverà tesoro perchè il segno della seconda è nella seconda revoluzione. Allora sarà a constellazione e non a fortuna; ma apellasi quello, che non si può sapere per iscenzia naturale, per accidente; e però dice in la detta questione fra Tommaso: quoniam ea, quæ per accidens hic aguntur, sive in rebus naturalibus sive humanis, redunctur in aliquam causam proeordinantem quæ est providentia divina etc. Sicché si può dire che li beni commutativi, come le ricchezze mondane, sieno distribuite per fortuna, la qual fortuna è una scienzia di particolari ignorata e non saputa dalli intelletti umani, alla quale per tale ignoranza non si può contrastare per sapere o per possanza umana. Questo è ragionevile che libero arbitrio non è se non là ove la volontade e lo in intelletto può eleggere: ed elezion non si può fare se non in quelle, overo di quelle cose che si fanno se fortuna è com’è detto, ignota e non saputa; per consequens non si può fare elezioni sì che arbitrio non li può contrastare e questa fu intenzione di Dante, e però dice: necessità la fè essere etc. La qual fortuna è coordinata da quella possanza infinita che regge e governa, e creò lo mondo a suo piacere, si come sono l’altre intelligenze e vertudi.
Poi infine del capitolo parla della pena delli iracondiosi ponendo quelli in uno pantano e sotto acqua; e cosi entra nel terzo circolo dello inferno.
Circa lo quale vizio si è da considerare che sicome l’ira è uno furore d’animo ch’hae appetito di vendetta ed è sempre con tristizia misto, così l’autore punisce overo tormenta li iracondii in uno pantano fetente e stimolati da fastidiosa cosa2, come puzza e da non potere uscire da quella acqua, la quale non solo li tiene soffocati in essa, ma non li lassa esprimere in parole lo suo volere.