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IV.








uppemi l’alto sonno nella testa
     Un greve tuono sì , ch’io mi riscossi,
     Come persona che per forza è desta:
E l’occhio riposato intorno mossi,
     Dritto levato, e fiso riguardai 5
     Per conoscer lo loco dov’io fossi.
Vero è che in su la proda mi trovai
     Della valle d’abisso dolorosa ,
     Che tuono accoglie d’infiniti guai.
Oscura, profond’era e nebulosa, 10
     Tanto che, per ficcar lo viso al fondo,
     Io non vi discernea veruna cosa.
Or discendiam quaggiù nel cieco mondo.
     Incominciò il poeta tutto smorto:
     Io sarò primo, e tu sarai secondo. 15
                              Ed io, che del color mi fui accorto,
                                    Dissi: come verrò, se tu paventi
                                    Che suoli al mio dubbiare esser conforto?
                               Ed egli a me: L’angoscia delle genti,
                                    Che son quaggiù, nel viso mi dipigne 20
                                    Quella pietà, che tu per tema senti.


V. 1. In questo quarto capitolo, poi che nel terzo è trattato de’ cattivi, intende di trattare di quelli che sono nel Limbo, li quali non sono stimolati, nè fattoli male né pena, se non che non hanno speranza, e disiano; e fanne due parti. La prima parte è in aiere tenebroso e obscuro. L’altra parte è in luogo luminoso: lo quale lume li viene da una lumera posta lìe per la giustizia di Dio. Lo quale luogo tenebroso hae a significare che di quelli che vi sono non è alcuna memoria nel mondo; e perchè alcuna gente è in questo limbo, che furono al mondo di grande eccellenzia, sì li provide di quella grande lumera la giustizia preditta. Dice che uno tuono lo destò, e narra la condizione del luogo infino che dice: or discendiam.

16. Mostra che la pena ch’hanno quelli che sono nell’inferno, dispone si quell’aiere che fa parere ciascuno, che le entra, smorto e di colore livido.