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[v. 16-27] | c o m m e n t o | 851 |
ricoprimento ànno usato lo tradimento. E questo medesimo allegoricamente si truova in quelli del mondo, de’ quali intese propiamente l’autore: imperò che tutti questi traditori de’ benefattori loro sono sfacciati; e se usano lo tradimento alli loro pari benefattori, sono parimenti a giacere nel freddo della crudeltà e dell’odio; e se l’usano pure contro a’ maggiori, sono col capo più in giù in quanto mostrano più l’abominevole odio e crudeltà; e se l’usano pure contro a’ minori, stanno co’ piedi più in giù, e col capo più su, perchè viene meno abominevole l’odio e la crudeltà; e se l’usano quando contra i maggiori e quando contra minori, stanno inarcocchiati col capo pari a’ piedi, perchè mostrano odio e crudeltà, e più e meno abbominevole. Or dice così il testo: Già era; io Dante andato oltre verso il mezzo, (e con paura il metto in metro; cioè lo dico ora in questi versi: imperò che raccordarlo mi spaurisce) Là, dove l’ombre tutte eran coperte; cioè dalla ghiaccia: cosa paurosa è a pensare che l’uomo sia al tutto privato d’ogni amore e d’ogni carità, e sia al tutto crudele et odioso, E trasparean come festuca in vetro; questa è fizione poetica verisimile che, se erano nella ghiaccia, doveano trasparere; et è atta similitudine che, così doveano parere sotto la ghiaccia, come pare la festuca quando è rinchiusa nel vetro. Altre stanno a giacere; cioè parimente rovescio1, altre stanno erte; cioè levato in suso; ma pure2 nondimeno rovescio, Quella col capo; ecco come differentemente stavano erte; cioè col capo in su e co’ piedi in giù, e quella con le piante; cioè stava erta sì, che i piedi erano in su, e ’l capo in giù, Altra, com’arco, il collo ai piedi inverte; e così stava inarcocchiata e tenea parimente in giù il capo et i piedi.
C. XXXIV — v. 16-27. In questi quattro ternari finge l’autore che Virgilio li mostrasse Dite, e come vedendolo ebbe paura, e però dice: Quando noi; cioè Virgilio ch’era inanzi, et io Dante che gli era dietro, fummo fatti tanto avante; cioè tanto inverso il centro, Che al mio Maestro; cioè Virgilio, piacque di mostrarmi; cioè a me Dante, La creatura ch’ebbe il bel sembiante; cioè ch’ebbe la bella apparenza; cioè Lucifero, che Idio fece di tanta bellezza, Dinanzi mi si tolse; perchè s’era riparato dopo lui, per lo vento, come detto fu di sopra, e fe restarmi; cioè me Dante, perch’io comprendessi meglio, Ecco Dite, dicendo: Dite chiamano li poeti lo idio dell’inferno; quasi ricco, perchè delle morti delli uomini cresce lo suo imperio per signoria, et arricchisse3, e da costui denominò di sopra l’autore la città di Dite; ancora lo chiamano li poeti Plutone. et ecco il loco, Ove convien che di fortezza t’armi: imperò che convenia che di lui facessono scala, se voleano discendere al centro et