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828 | i n f e r n o xxxiii. | [v. 1-22] |
Tebe novella: imperò che di Tebe discese il tuo edificatore; quasi dica: Come quella citta fu crudele; così se’ tu. E qui finisce la prima lezione: ora è da vedere lo testo con l’allegorie e moralità.
C. XXXIII — v. 1-9. In questi tre ternari l’autor nostro finge che colui, che rodeva la cottola dell’altro addomandato da lui, come detto fu di sopra, li rispondesse e facesse esordio alla sua narrazione, dicendo: La bocca sollevò dal fiero pasto; cioè sollevò la sua bocca dal capo che li rodea1, ch’era pasto di fiera e non d’uomo, Quel peccator; del quale fu detto di sopra, forbendola a’ capelli Del capo, ch’elli avea di rietro guasto; cioè roso a quell’altro peccatore che gli era inanzi. Poi cominciò; cioè a parlare in questa forma: Tu vuoi; cioè tu, che domandi, ch’io rinnovelli Disperato dolor; cioè dolore di disperazione, che il cor mi preme; cioè m’aggrava, Già pur pensando, pria ch’io ne favelli; cioè innanti ch’io ne parli, pur lo pensieri me ne dà gravezza. Ma se le mie parole esser den seme, Che frutti infamia al traditor ch’io rodo; cioè che per questo ne debba ricevere infamia questo traditore, il quale io rodo, Parlare e lagrimar udrai insieme; cioè insiememente m’udirai parlare e piangere: però che sanza pianto noi potrei narrare.
C. XXXIII — v. 10-22. In questi quattro ternari finge l’autore che quel peccatore, ch’elli à indotto a parlare, fatto lo suo esordio, continuasse la sua orazione, narrando chi egli era; e così colui ch’era con lui, e l’offensione ricevuta, dicendo così: Io non so chi tu se’; dice costui, che parla, a Dante, nè per che modo Venuto se’ qua giù; ma fiorentino Mi sembri veramente, quand’io t’odo; quasi dica: Alla favella mi pari fiorentino. Tu dei saper; cioè poi che tu se’ fiorentino, e se sì vicino alla patria ond’io fui, ch’i’ fu’ ’l conte Ugolino: questo conte Ugolino fu de’ conti della Gherardesca da Pisa, e fu grandissimo cittadino della detta città, intanto che il governo della città era nelle sue mani e del suo consiglio; e trattò sì male la sua signoria, che nel suo reggimento perdè quasi tutte le sue castella, salvo che Vico e Morrona et aveale prese la parte guelfa di Toscana co’ Fiorentini; onde si credette che, come favoreggiatore di parte guelfa, elli le tradisse loro forse per esser fatto general signore, come fanno molti che riducono2 le loro terre in malo stato, per averne la signoria; et in suo tempo era arcivescovo di Pisa messer Ruggieri degli Ubaldini da Pisa. Occorse caso che uno nipote del detto arcivescovo fu morto da un parente del detto conte, perchè vagheggiavano una medesima donna; onde il detto arcivescovo, proposto di vendicarsi, fece trattato contra il detto conte, et incitò contra di lui tre grandi case di gentili uomini da Pisa; cioè Gualandi, Sismondi,