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826 | i n f e r n o xxxiii. |
C O M M E N T O
La bocca sollevò ec. In questo xxxiii canto l’autor compie di trattare del secondo giro et entrò1 nel terzo, e fa principalmente due cose: imperò che nella prima induce a notificare l’uno di quelli due detti di sopra, addomandato da lui chi erano, e così ancora la lor condizione e del loro peccato, e così si spaccia del secondo giro; nella seconda pone come entra nel terzo, quivi: Noi passammo oltre ec. Questa prima, ch’è la prima lezione, si divide in sette parti: imperò che prima pone come colui si dispose a manifestarli quel ch’avea domandato, e come fa suo esordio; nella seconda, come comincia la sua narrazione in generale, notificando le persone, quivi: Io non so chi tu se’ ec.; nella terza pone come narra la cagione speziale della sua offensione, e finge che facesse uno sogno che li manifestò il futuro, quivi: Breve pertugio ec.; nella quarta manifesta l’avvenimento del sogno, quivi: Quando fui desto ec.; nella quinta manifesta il modo, ch’elli tenne nella sua condizione in fino al quarto di’, quivi: Io non piangea ec.; nella sesta narra la morte sua e de’ suoi figliuoli, quivi: Poscia che fummo ec.; nella settima pone l’autore una invezione contra Pisa, quivi: Ahi Pisa, vituperio ec. Divisa dunque la lezione, ora è da vedere la sentenzia litterale la quale è questa.
Quel peccatore addomandato da me, sollevò la bocca sua dal fiero pasto, forbendola a’ capelli del capo ch’elli avea guasto di rietro, mordendolo come fu detto di sopra; e poi cominciò a parlare a Dante, dicendo: Tu vuoi ch’io rinnovelli disperato dolore, che mi duole pur pensando di ciò, non che parlandone; ma per dare infamia a costui che mi tradie, io dirò e piagnerò insieme. Io non so chi tu se’; ma tu mi pari fiorentino alla favella, e non so per che modo se’ venuto quaggiù: tu dei sapere ch’io fui conte Ugolino da Pisa, e questi è l’arcivescovo Ruggieri: or ti dirò per ch’io li fo questo. Dirti come fui preso e poscia morto non n’è bisogno, che tu lo sai, che il debbi2 avere udito; ma tu non ài udito il modo, e però ti voglio dire come la mia morte fu cruda, e saprai se m’à offeso. Quella torre che è in Pisa, chiamata per me la torre della fame, nella quale io fui richiuso co’ miei figliuoli, avea uno buco per lo quale io vedea il di’ quand’elli appariva3; e già era l’alba della mattina ch’io m’addormentai e pareami vedere costui come mio maestro e signore, cacciando uno lupo co’ suoi lupicini in sino a monte pisano con cagne magre molto sollicite e preste; e poco correndo questo lupo