106Ond’elli a me: Avaccio sarai dove
107 Di ciò ti farà l’occhio la risposta,
108 Veggendo la cagion che il fiato piove.
109Et un de’ tristi della fredda crosta
110 Gridò a noi: O anime crudeli,
111 Tanto che data v’è l’ultima posta,
112Levatemi dal viso i duri veli,1
113 Sì che io sfoghi il duol che il cor m’impregna,
114 Un poco in pria, che il pianto si raggieli.
115Per ch’io a lui: Se vuoi ch’io ti sovvegna,
116 Dimmi chi se’; e, s’io non ti disbrigo,
117 Al fondo della ghiaccia ir mi convegna.
118Rispose adunque: Io son frate Alberigo,
119 Io son quel dalle frutte del mal orto,2
120 Che qui riprendo dattero per figo.34
121Oh, diss’io lui, or se’ tu ancor morto?
122 Et elli a me: Come il mio corpo stea
123 Nel mondo su, nulla scienzia porto.
124Cotal vantaggio à questa Tolomea,
125 Che spesse volte l’anima ci cade,
126 Inanzi ch’Antropos mossa li dea.5
127E perchè tu più volentier mi rade6
128 Le invetriate lagrime dal volto,
129 Sappi che, tosto che l’anima trade,7
130Come fec’io, il corpo suo l’è tolto
131 Da un demonio, che poscia il governa,
132 Mentre che il tempo suo tutto sia volto.
- ↑ v. 112. Levatemi dal volto
- ↑ v. 119. C. M. quel delle frutta
- ↑ v. 120. C. M. dattilo
- ↑ v. 120. figo; fico. Per maggiore dolcezza i nostri antichi mutavano in g il c, dicendo Gaio, Gostanza, miga, aguto per Caio, Costanza, mica, acuto ed altri. E.
- ↑ v. 126. C. M. Antropos morte li dea.
- ↑ v. 127. C.M. ne rade
- ↑ v. 129. Trade; terza persona singolare dell’indicativo dall’infinito tradere. E.