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822 i n f e r n o

49Io non piangea: sì dentro impetrai;
      Piangevano elli, et Anselmuccio mio
      Disse: Tu guardi sì, padre, che ài?
52Perciò non lagrimai, nè rispuos’io
      Tutto quel giorno, nè la notte appresso,
      In fin che l'altro Sol nel mondo uscio.
55Come un poco di raggio si fu messo
      Nel doloroso carcere, et io scorsi
      Per quattro visi il mio aspetto stesso;
58Ambo le mani per dolor mi morsi;
      Et ei pensando ch’io il fessi per voglia
      Di manicar, di subito levorsi,1
61E disser: Padre, assai ci fia men doglia,2
     Che tu mangi di noi: tu ne vestisti
      Queste misere carni, e tu ne spoglia.
64Queta’mi allor, per non farli più tristi:
      Lo di’ e l’altro stemmo tutti muti.3
      Ahi dura terra! perchè non t’apristi?
67Poscia che fummo al quarto di’ venuti,
      Gaddo mi si gittò disteso a’ piedi,
     Dicendo: Padre mio, che non m’aiuti?
70Quivi morì; e come tu mi vedi,
      Vid’io cascar li tre ad uno ad uno,
      Tra il quinto di’ e il sesto; ond’io mi diedi
73Già cieco a brancolar sopra ciascuno,
      E due di’ li chiamai, poi che fur morti:4
      Poscia, più che il dolor, poteo il digiuno.5
76Quand’ebbe detto ciò, con li occhi torti
      Riprese il teschio misero coi denti,
      Che forar l’osso, come d’un can, forti.6

  1. v. 60. Levorsi; sincope di levorosi, si levoro. E.
  2. v. 61. C. M. dissen:
  3. v. 65. C. M. Quel dì
  4. v. 74. E tre dì
  5. v. 75. C. M. potè ’l
  6. v. 78. C. M. Che foran