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c a n t o   xxxiii. 821

22Breve pertugio dentro dalla muda,1
      La qual per me à il titol della fame,
      E in che conviene ancor ch’altri si chiuda,
25M’avea mostrato per lo suo forame
      Più lume già, quando feci il mal sonno,
      Che del futuro mi squarciò il velame.
28Questi parea a me maestro e donno,
      Cacciando il lupo e i lupicini al monte,
      Per che i Pisan veder Lucca non ponno.
31Con cagne magre, studiose e conte,
      Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi
      S’avea messi dinanzi dalla fronte.2
34In piccol corso mi pareano stanchi
      Lo padre e’ figli, e con l’agute scane3
      Mi parea lor veder fender li fianchi.
37Quando fui desto inanzi la dimane,
      Pianger senti’ fra il sonno i miei figliuoli,4
      Ch’eran con meco, e dimandar del pane.5
40Ben se’ crudel, se tu già non ti duoli,
      Pensando ciò, che al mio cor s’annunziava;6
      E se non piangi, di che pianger suoli?
43Già eran desti, e l’ora s’appressava7
      Che il cibo ne solea essere addotto,
      E per suo sogno ciascun dubitava;
46Et io senti’ chiavar l’uscio di sotto8
      Dell’orribile torre, ond’io guardai9
      Nel viso a’ miei figliuoi sanza far motto.

  1. v. 22. C. M. pertuso
  2. v. 33. C. M. messo
  3. v. 35. C. M. acute
  4. v. 38. C. M. nel sonno
  5. v. 39. C. M. Ched eran meco,
  6. v. 44. C. M. che il mio cor
  7. v. 43. Si legge nel Landino «e l’ora trapassava E.
  8. v. 46. Chiavare; inchiodare, dal latino clavus, chiodo. E.
  9. v. 47. C. M. All’orribile torre,