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CANTO XXXIII.


1La bocca sollevò dal fiero pasto
      Quel peccator, forbendola a’ capelli1
      Del capo, ch’elli avea di rietro guasto.
4Poi cominciò: Tu vuoi, ch’io rinnovelli
      Disperato dolor che il cor mi preme,
      Già pur pensando, pria ch’io ne favelli.
7Ma se le mie parole esser den seme,
      Che frutti infamia al traditor ch’io rodo,
      Parlare e lagrimar udrai insieme.2
10Io non so chi tu se’, nè per che modo
      Venuto se’ qua giù; ma fiorentino
      Mi sembri veramente, quand’io t’odo.
13Tu dei saper ch’i’ fu’ ’l conte Ugolino,3
      E questi è l’arcivescovo Ruggieri:
      Or ti dirò perchè son tal vicino.
16Che per l’effetto de’ suoi ma’ pensieri,
      Fidandomi di lui io fossi preso,
      E poscia morto, dir non m’è mestieri.
19Però quel che non puoi aver inteso;
      Cioè come la morte mia fu cruda,
      Udirai, e saprai se m’à offeso.

  1. v. 2. C. M. peccator, forbendolo
  2. v. 9. vedra’mi insieme.
  3. v. 13 C. M. io fui conte Ugolino,