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[v. 97-105] | c o m m e n t o | 817 |
lama; cioè per questo luogo pendente: imperò che tutto pende inver lo centro: lama è luogo pendente e non pari, com’era quello; e questo dice, perchè in quel luogo non sono genti che vogliono essere nominate: imperò che al traditore è infamia d’esser nominato, e non vorrebbe essere nominato.
C. XXXII — v. 97-105. In questi tre ternari l’autor nostro finge che strignesse con istimolazione1 e forza colui, che è detto di sopra, a nominarsi, e com’elli perciò non si palesò, dicendo: Allor lo presi per la coticagna; cioè per la chioma de’ capelli, che è nella collottola2, E dissi; a lui: El converrà, che tu ti nomi; cioè che tu dichi il nome tuo, O che qui su capel non ti rimagna; cioè ch’io te li tragga tutti del capo; Ond’egli a me; rispose, s’intende: Perchè tu mi dischiomi; cioè mi lievi la chioma de’ capelli, Non ti dirò ch’io sia, nè mosterrolti, Se mille fiate, anzi volte, in sul capo mi tomi; cioè se ancora oltre alli capelli tratti, mi tomassi in sul capo mille volte. Io già avea i capelli in mano avvolti; cioè avvolta la mano in essi, E tratti glien avea più d’una ciocca; cioè d’una manata o d’una tirata, Latrando lui; cioè abbaiando e gridando, con li occhi in giù raccolti; per non esser conosciuto, o per la consuetudine de’ traditori, che non ànno ardimento di guardare3 altrui nel volto. Et è da notare che in questo luogo si può fare obiezione all’autore: imperò che qui pone che l’ombre sieno palpabili, in quanto dice che lo prese pe’ capelli; e nella seconda cantica dice nel secondo canto: O ombre vane, fuor che nell’aspetto! Tre volte a lei dietro le mani avvinsi, E tante mi trovai con esse al petto, e nel canto xxi della detta seconda cantica dice: Già s’inchinava ad abbracciar li piedi Al mio Dottor; ma elli disse: Frate, Non far, che tu se’ ombra, et ombra vedi; ecco che qui dimostra che siano impalpabili e così contradice a sè medesimo; e questo sarebbe grande difetto del poeta, se fosse fatto sanza cagione. A che si può rispondere che in questa prima cantica è necessario che ponga che l’anime sieno palpabili a ricevere li tormenti, i quali sostengono contra loro voglia per Divina Giustizia, et in questo atto tanto le finge palpabili; altrimenti, no. Nella seconda cantica l’anime si purgano volonterosamente, e non è mestieri che d’altrui sieno costrette; e però le pone impalpabili in ogni modo, e però non si contradice: imperò ch’elli intende che, secondo ragione di natura, in ogni luogo, in ogni modo sono impalpabili; ma miracolosamente sopra natura nell’inferno, quanto alli tormenti sono palpabili.
C. XXXII — v. 106-114. In questi tre ternari finge l’autor nostro che un altro nominasse quel traditore ch’elli volea conoscere, e però dice: Quand’un altro gridò; quasi dica: Colui latrava, come
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