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816 | i n f e r n o xxxii. | [v. 82-96] |
quelle tre cagioni, fosse messer Bocca delli Abbati da Fiorenza, il quale essendo nello esercito de’ Fiorentini e de’ guelfi di Toscana, tradì il detto esercito quando combatterono co’ Sanesi, co’ quali erano li ghibellini usciti di Firenze e altri ghibellini di Toscana a Monte Aperti, che è in quel di Siena: imperò che il detto messer Bocca occultamente teneva con loro, ove fu sconfitto l’esercito de’ Fiorentini. Se tu non vieni a crescer la vendetta Di Mont’Aperti: imperò che in quel luogo si facea vendetta di sì fatto peccato, perchè darli col piè nel capo era accrescimento di pena. E benchè l’autore finga poeticamente; intende per modo di poesi dimostrare, come li occorse nella mente, per una di quelle tre cagioni di trattare in questo luogo di costui; e questo fu la percuotitura del piè nel capo suo; cioè l’affetto che venne a Dante di dire del tradimento suo. E per mostrare che colui che fa il male si dà l’infamia elli stessi, finge che lo sforzi a nominarsi; e non nominandosi elli, che altri lo nomini; e ch’elli abbi per male d’esser nominato è verisimile: imperò che questi traditori ànno per male d’essere conosciuti e chiamati traditori, e però allegoricamente intese di quelli del mondo.
C. XXXII — v. 82-96. In questi cinque ternari finge l’autore che, presa la licenzia da Virgilio, elli andò a parlamentare con colui che aveva percosso, dicendo così: Et io; cioè Dante dissi a Virgilio: Maestro mio, or qui m’aspetta, Sì ch’io esca d’un dubbio per costui; fìnge che dubitasse che costui fosse altri che non era sì, che si volea dichiarare, Poi mi farai, quantunque vorrai, fretta; ch’io sarò apparecchiato a venire. Lo duca stette; cioè Virgilio; et io dissi a colui Che biastemiava duramente ancora; perch’era stato percosso: Qual se’ tu, che così rampogni altrui? Domandò Dante chi elli era, et elli riaddomandò lui chi elli fosse; et in questo si nota che fosse superbo, dicendo: Or tu chi se’; disse colui a Dante, che vai per l’Antenora; cioè per questo secondo giro, che finge l’autore che si chiami l’Antenora da Antenore troiano che, come scrive messer Guido della Colonna nel suo trattato, anzi Troiano, tradì e diede Troia a’ Greci; onde scritto è in sulla sua sepoltura, secondo che si dice e che si vede: Hic jacet Antenor paduanae conditor urbis: Proditor ille fuit, et qui sequuntur eum — . Percotendo, rispose, altrui le gote; come detto fu di sopra, Sì che, se fosse vivo, troppo fora; cioè sarebbe troppo? Vivo son io; rispose Dante, e caro esser ti puote; ch’io sia vivo, Fu mia risposta; dice Dante, se domandi fama; la quale domandano li altri, Ch’io metta; cioè acciò ch’io metta, il nome tuo tra l’altre note; cioè persone, ch’io ò messe in questa Comedia. Et elli a me; rispuose, s’intende: Del contrario ò io brama; cioè di non esser nominato ò io desiderio: Levati quinci, e non mi dar più lagna; cioè più angoscia: Chè mal sai lusingar per questa