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traesse, non si moverebbe1, eziandio se mille volte li tomasse in sul capo. Dice poi l’autore ch’elli avea li capelli in mano, e tratti glien’avea già una presa, et elli gridava forte. Allora un altro ch’era presso, gridò: Che ài tu, Bocca? Non ti basta sonare con le mascelle, se tu non latri ancora? Chi ti tocca? Allora disse l’autore: Oggimai non favellar, traditore, che o vogli tu, o no, io porterò novelle di te. Allora rispose: Va, e dì ciò che ti piace; ma non tacere di colui che ora fu così pronto: quello piange qui l’argento de’ Franceschi; tu potrai dire che vedesti quello da Duera in Cocito, ove li peccatori stanno freddi: se fossi domandato da altrui: Altri chi v’era; tu ài dallato quello di Beccheria, che li fu tagliato il capo a Fiorenza; e più là è Gianni de’ Soldanieri e Ganellone e Tribaldello, che tradirono di notte Faenza. E dice l’autore ch’era già partito da lui, quando elli vide due in uno buco della ghiaccia, ghiacciati tanto l’uno sopra l’altro, che il capo dell’uno veniva sotto l’altro; e quel di sopra mangiava lo cervello all’altro, come Tideo rose le tempie a Menalippo. Allora dice l’autor che disse a colui che così rodea: O tu, che mostri per sì bestial segno odio sopra colui che tu rodi, dimmi per qual cagione, acciò che se tu ài ragione di così fare, io te ne meriti, se io non perda la lingua e ’l parlare. E qui finisce la sentenzia della seconda lezione, o vero lo testo di questo canto: ora è da vedere le sposizioni allegoriche e morali.

C. XXXII — v. 73-81. In questi tre ternari finge l’autor nostro lo suo processo del primo giro nel secondo, e finge che percotesse uno di quelli del secondo giro nel volto col piè, ond’elli si lamentò, e dice così: E mentre ch’andavamo in ver lo mezzo; cioè Virgilio et io, partendoci dal primo giro, per andare nel secondo in verso lo centro della terra, Al quale ogni gravezza si raguna: però che ogni carico pende al centro della terra, Et io; cioè Dante, tremava nell’eterno rezzo: cioè nell’eterno freddo: impossibile sarebbe essere nel freddo, e non sentirlo; Se voler fu, o destino, o fortuna; qui tocca tre cagioni, da che procedono tutti li nostri affetti2; cioè da volontà di proprio arbitrio, o da giudicio universale delle costellazioni che si chiama destino, o da giudicio particulare di alcuna costellazione che si chiama fortuna, Non so; dice che non sa qual si fosse di queste tre cagioni, ma passeggiando fra le teste; di quelli ch’erano fitti nella ghiaccia, Forte percossi il piè nel capo ad una; di quelle anime del secondo giro. Piangendo mi sgridò; quell’anima a me Dante: Perchè mi peste; cioè mi percuoti col piè? Se tu non vieni a crescer la vendetta Di Mont’Aperti, perchè mi moleste? Et è qui da sapere che costui, cui l’autor finge aver percosso per una di

  1. C. M. non si nominerebbe, eziandio se
  2. C. M. effetti;