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c a n t o   xxxii. 803

106Quand’un altro gridò: Che ài tu, Bocca?
      Non ti basta sonar con le mascelle,
      Se tu non latri? Qual diavol ti tocca?
109Omai, diss’io, non vo’ che tu favelle,
      Malvagio traditor, ch’alla tua onta
      Io porterò di te vere novelle.
112Va via, rispuose, e ciò che tu vuoi conta;
      Ma non tacer, se tu di qua entro eschi,
      Di quei ch’ebbe or così la lingua pronta.1
115El piange qui l’argento de’ Franceschi:
      Io vidi, potrai dir, quel da Duera
      Là, dove i peccatori stanno freschi.
118Se fossi domandato altri chi v’era,
      Tu ài dal lato quel di Beccheria,2
      Di cui segò Fiorenza la gorgiera.
121Gianni de’ Soldanier credo che sia3
      Più là con Ganellone, e Tribaldello
      Ch’aprì Faenza quando si dormia.
124Noi eravam partiti già da ello,
      Ch’io vidi due ghiacciati in una buca
      Sì, che l’un capo all’altro era cappello;
127E come il pan per fame si manduca,
      Così il sovran li denti all’altro pose
      Là, ove il cervel s’aggiugne con la nuca.
130Non altrimenti Tideo si rose
      Le tempie a Menailppo per disdegno,
      Che quei facea il teschio e l’altre cose.4
133O tu, che mostri per sì bestial segno
      Odio sopra colui cui tu ti mangi,
      Dimmi il perchè, diss’io, per tal convegno;

  1. v. 114. C. M. Di quel ch’ebbe or
  2. v. 119. C. M. Beccaria,
  3. v. 121. C. M. del Soldanier
  4. v. 132. C. M. al teschio e l’altre cose.