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C A N T O XXXII.
1S’io avessi le rime aspre e chiocce,
Come si converrebbe al tristo buco,
Sopra il qual pontan tutte l’altre rocce,
4Io premerei di mio concetto il suco
Più pienamente; ma perch’io non l’abbo,
Non sanza tema a dicer mi conduco:
7Chè non è impresa da pigliar a gabbo1
Descriver fondo a tutto l’universo,2
Nè da lingua che chiami mamma o babbo.
10Ma quelle Donne aiutino il mio verso,
Ch'aiutaro Anfione a chiuder Tebe,
Sì che dal fatto il dir non sia diverso.3
13Oh sopra tutti mal creata plebe,4
Che stai in luogo onde il parlar m’è duro,
Mei foste state qui pecore o zebe!
16Come noi fummo giù nel pozzo oscuro
Sotto i piè del gigante, assai più bassi,
Et io mirava ancora all’alto muro,
19Dicer udimmo: Guarda come passi;
Va sì, che tu non calchi con le piante
Le teste de’ fratei miseri, lassi.