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[v. 46-57] | c o m m e n t o | 789 |
dalla proda in su si vedea pur lo mezzo del gigante e non più, sì che faceano torri del mezzo, Li orribili giganti; cioè tali che spaventavano altrui, cui; cioè li quali, minaccia Giove del Cielo ancora, quando tuona. Ragguarda qui alle fìzioni poetiche, che fingono che fossono fulminati da Giove e posti sotto li monti sì, che ancor finge che sieno minacciati da Dio quando tuona, per dare ad intendere che i superbi per li tuoni e per le saette dovrebbono temere Idio, e conoscere lo suo errore e vedere la potenzia di Dio.
C. XXXI — v. 46-57. In questi quattro ternari l’autor nostro, seguitando la materia de’ giganti, pone come si certificò approssimato, chi egli erano; et aggiugne alcuna sentenzia notabile, dicendo: Et io; cioè Dante, scorgea gia d’alcun la faccia; di quelli giganti, Le spalle e il petto, e del ventre gran parte; che prima da lungi non le scorgea; e dice gran parte del ventre, perchè alcuna parte n’era coperta con le braccia, che erano legate dinanzi; e però dice: E per le coste giù ambo le braccia; cioè per le coste del ventre giù legate: e non finge che tutti fossono legati; ma solamente quelli che furono contro a Giove, come appare nel testo. Et aggiugne sentenzia notabile, dicendo: Natura certo, quando lasciò l’arte Di sì fatti animali, assai fe bene; quasi dica: Quando la natura si rimase di producere li giganti, fece molto bene e discretamente, Per torre tali esecutori a Marte: Marte, secondo li pagani, si diceva esecutore et ancora idio delle battaglie, e significa la superbia: però che per superbia questi giganti combatteano, sottomettendosi li meno potenti; e però si chiamano esecutori di Marte; cioè della superbia, o vogliamo dire, della fortezza corporale: però che tali uomini sono operatori della fortezza. E s’ella d’elefanti e di balene Non si pentè; cioè s’ella non si rimase di producere elefanti e balene: elefanti sono in terra grandissimi animali, sanza giuntura nelle gambe e truovansi in India, et ancora anticamente in Africa; e dell’ossa sue si è l’avorio, e quello delli denti è il migliore, et ànno la promuscida1 come uno budello alla bocca, la quale stendono, o vero lo quale scendono, a pigliare lo cipo2 e tiranlo a sè, et ànnovi tanta forza che ogni cosa tirerebbono; e sono di tanta fortezza che portano la torre del legname a dosso dove stanno li uomini a combattere; e vivono gran tempo e vanno in mandria: però che stanno volentieri acompagnati; e tengono molta industria nelle battaglie quelli, che sono dimesticati in andare piano e ratto; come fa bisogno in tirare a terra li uomini, paiono avere intendimento, in tanto che quando Annibale d’Africa li volle menare di qua in Italia, non li potea fare entrare nel viaggio3, se non che prima promise loro con giuramento di rimenarli in Africa. Congiu-