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pone come, approssimato alla ripa del nono cerchio, vide tra li altri un gran gigante, quivi: La faccia sua ec.; nella settima et ultima manifesta Virgilio a Dante chi è quel gigante, quivi: E il Duca mio ec. Divisa la lezione, ora è da vedere la sentenzia litterale la quale è questa.
Poi che Virgilio nella fine del precedente canto crucciosamente prima, e poi benignamente riprese Dante, incomincia l’autor questo seguente canto da quello, dicendo che una medesima lingua; cioè quella di Virgilio, prima lo morse riprendendolo irosamente sì, che lo fece vergognare; e poi li riporse la medicina, riprendendolo dolcemente come solea fare la lancia d’Achille e del padre suo, che prima dava mortal ferita, e poi, se un’altra volta si mettea nella ferita, la facea sanabile. Poi comincia a narrare lo suo processo, dicendo che volsono le spalle alla bolgia, et andarono su per la ripa che la cigne d’intorno, verso lo nono cerchio attraversando la ripa; e dice ch’andando sanza parlare, ragguardando poco inanzi: però che poco vi potea la vista, perchè v’era oscuro, udì sonare1 uno corno, tanto che soperchiava ogni tuono; e dice che Orlando, quando furono rotti i paladini, non sonò sì terribilmente; et a questo suono dirizzò Dante la vista, per udire2 se vedea alcuna cosa. Et andando poco ragguardando in là, dice che li parve vedere molte torri; onde domandò Virgilio che città era quella. Allora Virgilio li risponde generalmente che per le tenebre elli non potea scorgere, e però s’ingannava parendoli vedere quel che non vedeva; e però affrettati che quando sarai presso, vedrai bene quanto t’inganni del tuo pensieri per la vista da lungi. E poi dice che il prese per mano, e disseli: Acciò che non ti maravigli, innanzi che andiamo più oltre, ti voglio certificare che quelle, che ti paiono torri: sono giganti; e sono intorno a questa ripa nel pozzo, ove è lo cerchio nono, dal bellico in giù. Et approssimandosi dice che, come quando la nebbia si disfà, a poco a poco s’affigura quel che cela il vapore; così, andando raffigurando ch’erano giganti, certifìcavasi et impauriva. E fa una similitudine che, come Montereggioni à molte torri intorno, su per le mura; così li giganti stavano intorno alla ripa, dentro del cerchio ottavo fitti dal bellico in giù, nel nono cerchio che il pone in modo d’un pozzo; e dice che già scorgeva la faccia d’alcuno, le spalle e il ventre e gran parte del petto, e le braccia. Et aggiugne notabili sentenzie che, veramente la natura quando si rimase di producere giganti, le bene per torre via li combattitori, et infestatori della pace. E se altri opponesse, perchè non s’è rimasa delli elefanti e delle balene che avanzano tanto ed infestano li altri animali, dice che