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103Quel che tu vuoi veder, più là è molto,
      Et è legato e fatto come questo,
      Salvo che più feroce par nel volto.
106Non fu tremuoto mai tanto rubesto,1
      Che scotesse una torre così forte,
      Come Fialte a scuotersi fu presto.
109Allor temett’io più che mai la morte;
      E non era mestier più che la dotta,
      S’io non avessi viste le ritorte.
112Noi procedemmo più avanti allotta,
      E venimmo ad Anteo, che ben cinque alle,
      Sanza la testa, uscia fuor della grotta.
115O tu, che nella fortunata valle,
      Che fece Scipion di gloria reda,2
      Quando Annibal co’ suoi diede le spalle,
118Recasti già mille leon per preda,
      E che, se fossi stato all’alta guerra
      De’ tuoi fratelli, ancor par che si creda,
121Che avrebbon vinto i figli della terra;
      Mettine giù (e non ten vegna schifo)3
      Dove Cocito la freddura serra.
124Non ci far ire nè a Tizio, nè a Tifo:4
      Questi può dar di quel che qui si brama;
      Però ti china, e non torcer lo grifo.
127Ancor ti può nel mondo render fama;
      Ch’el vive, e lunga vita ancor aspetta,5
      Se innanzi tempo grazia a sè nol chiama.

  1. v. 106. C. M. già tanto rubesto,
  2. v. 116. Reda, ereda; ne’ Classici nostri si truova di genere comune in ambidue i numeri. E.
  3. v. 122. C. M. non ti vegna
  4. v. 124. C. M. ire a Tizio,
  5. v. 128. C. M. Ch’el viene,