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C A N T O   XXXI.





1Una medesma lingua pria mi morse,
      Sì che mi tinse l’una e l’altra guancia,
      E poi la medicina mi riporse.
4Così od’io che solea far la lancia
      D’Achille e del suo padre; esser cagione1
      Prima di trista e poi di buona mancia.
7Noi demmo il dosso al misero vallone,
      Su per la ripa, che ’l cinge d’intorno,2
      Attraversando sanza alcun sermone.
10Quivi era men che notte e men che giorno,
      Sì che il viso m’andava inanzi poco;
      Ma io senti’ sonare un altro corno,3
13Tanto ch’avrebbe ogni tuon fatto fioco,
      Che, contra sè la sua via seguitando,
      Dirizzò li occhi miei tutti ad un loco.
16Dopo la dolorosa rotta, quando
      Carlo Magno perdè la santa gesta,
      Non sonò sì terribilmente Orlando.
19Poco portai in là volta la testa,
      Che me parve veder molte alte torri;4
      Ond’io: Maestro, dì, che terra è questa?

  1. v. 5. C. M. di suo
  2. v. 8. C. M. che il cinghia d’intorno,
  3. v. 12. C. M. sonar un alto corno,
  4. v. 20. C. M. Che mi parve