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[v. 141-148] c o m m e n t o 777

che si vellaneggiavano, Quando il Maestro; cioè Virgilio, mi disse: Or pur mira; tu, Dante, Che per poco è che teco non mi risso; cioè non mi corruccio. Quando il senti’; io Dante, a me parlar con ira, Volsimi verso lui con tal vergogna, Che ancor per la memoria mi si gira; cioè che ancora vi penso. E questo è notabile che pone l’autore che, quando l’uomo è ripreso ragionevolmente, se ne dee vergognare. E quale è quel che suo dannaggio sogna, Che sognando desidera sognare, Sì che quel ch’è, come non fosse, agogna; fa qui la similitudine di colui, che sogna essere a qualche grande pericolo; e sognando parendoli vero, desidera che sia sogno, e dice1: Beato me! che sia sogno: e fa come se, quel che è, non fosse; Tal mi fec’io; ora adatta la similitudine a sè, dicendo che così facea elli, non potendo parlare: imperò che per la vergogna tacea, Che disiava scusarmi; cioè io Dante desiderava scusarmi, e scusavami non parlando, e scusava Me tuttavia, e nol mi credea fare: imperò che, tacendo mostrava che riconoscesse lo suo errore e che n’avesse vergogna, la quale è segno che l’uomo non vorrebbe avere fatta la cosa, e questo è scusarsi: imperò che mostra essere caduto in errore per inavvertenzia, e non si credea per questo modo scusare; e questo dice l’autor per dare al lettore di ciò ammaestramento che, quando è ripreso giustamente, taccia e vergognisi d’aver fallito.

C. XXX — v. 142-148. In questi ultimi due ternari et uno verso finge l’autor come Virgilio, che prima crucciosamente l’avea ripreso, ora lo riprende benignamente, confortandolo prima dicendo così: Maggior difetto men vergogna lava, Disse il Maestro, che il tuo non è stato; quasi dica: Virgilio mi disse confortandomi: La tua vergogna è stata sofficiente a lavare maggior fallo che non è stato questo, ch’ella è stata maggior che il difetto; Però d’ogni tristizia ti disgrava; cioè pon giù ogni tristizia, E fa ragion ch’io ti sia sempre al lato; ora caritativamente l’ammonisce, dicendo che faccia sempre pensiere che Virgilio sia con lui: se l’uomo facesse suo pensiero d’essere sempre nel cospetto de’ savi uomini, non errerebbe, Se più avvien, che Fortuna t’accoglia Ove sieri genti in simigliante piato; cioè se più avviene che tu truovi2 in luogo, ove sieno genti che si villaneggino: Chè voler ciò udire è bassa voglia; assegna ora dicendo la ragione, che è vil cosa e vile volontà volere udire due villaneggiarsi insieme; e questo è notabile, et attendanlo ben coloro che a diletto stanno a udire garrire le feminelle. E qui finisce il xxx canto: seguita lo xxxi canto.

  1. C. M. dice: Beato che non sia sogno;
  2. truovi; ti truovi. Non è raro il trovare presso i Classici in maniera assoluta il verbo intransitivo riflesso; come arrossisco, in vece di mi arrossisco ec. E