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   38 i n f e r n o   i. [v. 61-66]

quivi si dica reggere per eccellenzia, e però felice è colui cui elli elegge lassù. Allora disse Dante: Io ti priego per quello Idio, che tu non conoscesti, a ciò ch’io campi di questo male e di peggio, che tu mi mene1 ove tu dicesti ora, sì ch’io vegga la porta del purgatorio, e coloro che sono nell’inferno; et allora dice che Virgilio si mosse, e Dante li tenne dietro. Finita la sentenzia litterale, ora è da vedere lo testo con le moralità o vero allegorie.

C. I - v. 61-66. In questi due ternari mostra l’autore come, quando ritornava a dietro del monte, nella valle li venne soccorso alla sua ruina, dicendo: Mentre ch’io Dante ruinava in basso loco; cioè nella valle, Dinanzi alli occhi mi si fu offerto Chi; cioè uno il quale per lungo silenzio: cioè tacimento: imperocchè, lungo tempo era stato sanza parlare, parea fioco; cioè roco: la quale cosa addiviene, quando l’uomo è stato lungo tempo tacente, che, volendo parlare, l’organo vocale, per la disusanza impedito d’alcuno rinchiudimento che si fa in esso, lo quale s’apre gonfiando, quando la voce esce fuori, et ancora, perchè ad uno orificio si congiungono li due organi; cioè quello dello stomaco e quello del polmone; e quello dello stomaco portando sempre dell’umidità, e della saliva, fa alcuna oppilazione nell’orificio, et ancor quivi da la testa cade alcuna viscosità catarrosa, la quale à a impedire lo meato della voce, e diviene l’uomo alcuna volta fioco. E però l’uomo, volendo parlare, impedito da tal materia si spurga, e perchè, per la disusanza del parlare cessa lo spurgare, per lo ragunamento dell’umore rimane l’uomo fioco, infino che non ne è spurgato, et alcuna volta pena molto tempo, inanzi che la materia sia remota. E finge l’autore che costui fosse fioco per longo silenzio, litteralmente denotando i studi poetici da pochi essere esercitati2, impigriti li uomini alli studi de’ poeti e dell’ arti e scienzie, e diventati solliciti delle cose del mondo; e quando il poeta non si studia, non parla, e così si può dire fioco diventato per lungo silenzio. Quando vidi costui, che m’apparve, nel gran diserto; cioè nella gran valle del monte, che era molto sola, Miserere di me, gridai a lui io Dante, Qual che tu sia, o ombra o uomo certo; cioè qualunche tu sia, o anima apparente o uomo vero. E qui si può muovere uno dubbio litterale; cioè, perchè l’autore finge che Virgilio li apparisse e che li desse conforto e soccorso, e che lo guidasse per l’inferno e purgatorio, più tosto che altra guida? A che si può rispondere che, considerato che tutti quelli, che si dicono essere discesi all’inferno, sono stati guidati,

  1. I padri di nostra lingua ad imitazione de’ Latini finivano in e il singolare del presente congiuntivo acconciatolo alla prima loro coniugazione: tu ti solve, Inf. II. v. 49. E.
  2. C. M. cercati.