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[v. 109-129] | c o m m e n t o | 775 |
un pugno in sul ventre ch’aveva enfiato per idropisi: epa si chiama il ventre, Quella sonò, come fusse un tamburo; cioè l’epa di maestro Adamo percossa da Sinone, E maestro Adamo li percosse il volto Col pugno suo, che non parve men duro; cioè li diede col pugno suo in sul volto altressì gran colpo, Dicendo a lui: Ancor che mi sia tolto Lo muover delle membra, che son gravi; cioè bench’io abbia le membra gravi, dice maestro Adamo, io ò il braccio libero a tale uso; e però dice: Ò io il braccio a tal mestiere sciolto; questa percussione fìnge l’autore per convenienzia tra li dannati, per mostrare che tra loro è odio et offensione, e nulla carità. Et allegoricamente per quelli del mondo l’intende, perchè tutti inimicano l’uno l’altro: imperò che dice lo Filosofo: Animalia ex eadem esca viventia, nunquam se diligunt; e così li peccatori che si conducono con uno medesimo peccato: però che ancora tra loro sempre è la invidia. E notantemente pone che l’uno percotesse l’altro nel luogo ove più si parca la infermità, per mostrare che nel mondo l’uno biasima l’altro di quello, ove più appare lo suo peccato.
C. XXX — v. 109-129. In questi sette ternari l’autor nostro fìnge come questi due detti di sopra, poi che si percossono, si villaneggiassono insieme, ponendo come l’uno rimpruoverava all’altro, dicendo: Ond’ei; cioè lo Greco, rispose; al maestro Adamo ch’avea dette le parole narrate di sopra: Quando tu andavi Al fuoco, non l’avei tu così presto; questo dice, perchè maestro Adamo fu arso in Firenze per la falsità de’ fiorini che falsò in Casentino; e chi è menato alla giustizia, è menato con le mani legate di rietro sì, che non può avere il braccio sciolto; Ma sì e più l’avei quando coniavi; li fiorini dell’oro falsato, avevi il braccio sciolto. E l’idropico; ora finge quel che rispondesse quel maestro Adamo, che à posto di sopra idropico, al rimprovero dettoli da Sinon greco, dicendo: Tu dì ver di questo; cioè ch’io non avea il braccio così presto, quand’io andava al fuoco; ma sì, quando coniava li fiorini falsi; Ma tu non fosti sì ver testimonio Là ’ve del ver fosti a Troia richiesto; e così li rimpruovera la falsità e le bugie che disse al re Priamo, quando fu addomandato da lui, perchè i Greci aveano fatto il cavallo del metallo, sì come è manifesto a chi legge Virgilio. S’io dissi il falso; ora finge che risponde Sinone, dicendo: S’io dissi il falso, e tu falsasti il conio; de’ fiorini, quasi dica: Peggio è a falsare, che a dire il falso; ma questo non è vero: imperò che s’attende a quello che ne seguita poi: del falsar della pecunia non si disfanno le città, come del dire la falsità che disse Sinone; e però aggiugne: Disse Sinone; al maestro Adamo, e son qui per un fallo; cioè per aver detto quella falsità, E tu per più che alcun altro demonio; questo fìnge Sinone, accrescendo la infamia al maestro Adamo, come è usanza de’ bugiardi. Ricordati, spergiuro, del cavallo, Rispose quel, ch’avea enfiata l’epa; cioè mae-