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[v. 13-21] | c o m m e n t o | 763 |
potendo Semele sostenere così fatta spezie, perch’era mortale, si morì. Allora Giove li fece trarre il fanciullo del ventre, e portollo elli tanto, che vennono li nove mesi; e compiuto il tempo, lo diede a nutricare ad Ino sirocchia di Semele e moglie di Atamante re di Tebe. E poi che fu allevato, fu fatto questo fanciullo idio e fu chiamato Bacco; e gloriandosi Ino et Atamante di avere allevato sì fatto figliuolo, Giunone crucciata mandò furore in Atamante et in Ino tanto, che Atamante vedendo venire la moglie Ino con due suoi figliuoli in braccio, che l’uno avea nome Learco e l’altro Melicerta, parendoli che la moglie fosse leonessa, e figliuoli due leoncini, gridò a’ suoi che tendesseno le reti per pigliare la leonessa et i leoncini, e prese Learco e roteandolo lo percosse ad un sasso. Onde Ino vedendo questo, fuggì con l’altro alla marina e d’in su uno scoglio si gittò con esso in mare accesa di furore, e secondo li poeti furono fatti idii del mare, ella chiamata Leucotoe e il figliuolo Palemona. Ora dice così il testo: Nel tempo che Giunone; cioè la moglie di Giove, era crucciata Per Semele; figliuola del re Cadmo e concubina di Giove, contra il sangue tebano; cioè contra li reali di Tebe, e per loro contro a tutto il popolo, Come mostrò una et altra fiata; cioè come dimostrò due volte o più, Atamante; marito d’Ino che fu sirocchia di Semele, divenne tanto insano; cioè diventò tanto furioso, Che veggendo la moglie; cioè Ino, con due figli; cioè Learco e Melicerta, Andar carcata; cioè caricata, da ciascuna mano; cioè da ciascun braccio, Gridò; a’ suoi: Tendiam le reti: imperò che in quella furia gli parea essere a cacciare, sì ch’io pigli La leonessa e’ leoncini al varco; della moglie e de’ figliuoli dicea che li pareano diventati la leonessa e leoncini; E poi distese i dispietati artigli; delle mani sue, parla l’autore, le quali chiama artigli perchè feciono crudeltà, come fanno li uccelli feritori, Prendendo l’un ch’avea nome Learco; de’ due suoi figliuoli, E roteollo e percosselo ad un sasso; lo detto suo figliuolo Learco, E quella; cioè Ino sua moglie, s’annegò con l’altro carco, perch’ella si gittò in mare con l’altro figliuolo, ch’avea nome Melicerta.
C. XXX — v. 13-21. In questi tre ternari l’autor nostro premette una istoria1 poetica, acciò che da questa e da quella di sopra tragga la sua similitudine poi; e la storia è questa. Quando Troia, contrada e città posta in Asia, fu disfatta; presa e disfatta la città, che n’era capo, per li Greci et ucciso lo re Priamo co’ suoi figliuoli, come di ciò è fatto menzione di sopra cap. i, rimase la reina Ecuba, ch’era fatta2 moglie del re Priamo, presa insieme con una sua figliuola che si chiamava Polissena, la quale fu morta e sacrificata da