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di tutta fame nella sua magrezza: però che la sua magrezza la mostrava così bramosa. E molte genti fe già, questa lupa, viver grame; cioè dolenti. E dice: Questa mi porse; cioè la lupa, tanto di gravezza Con la paura ch’uscia di sua vista; cioè della sua imagine: però che veramente non era lupa; e qui si dimostra che l’autore ebbe altro intelletto, che solo lo letterale. Ch’io perdei; cioè io Dante, la speranza dell’altezza; cioè la speranza del salire l’altezza del monte. Moralmente per questa lupa l’autore nostro significa l’avarizia, la quale li diè più d’impedimento che la lussuria e che la superbia al salire al monte delle virtù. Et assomiglia l’avarizia alla lupa: imperò che, come la lupa è ancora più bramosa che lo lupo; così è l’avarizia, e dice ch’era caricata di tutte le brame: imperò che l’avarizia di tutti li disordinati appetiti d’avere è piena; e questo mostra nella sua magrezza: però che non à mai tanto che ancor non si mostri avere bisogno di più. E litteralmente è vero che l’avarizia à già fatto vivere molte genti dolorose e sì quelle che sono state spogliate dalli avari de’ loro beni, e sì ancora li avari che mai non ànno bene delle loro ricchezze: chè l’avarizia non le lascia mai loro usare nè riposarsi. Et aggiugne che questo vizio li diede tanto di gravezza spaurendolo: imperò che l’avaro sta in continova paura che li manchino le sue necessità, ch’elli si disperò di salire per quel modo; cioè con la contemplazione delle virtù poter salire al sommo di quelle.
C. I - v. 55-60. In questi due ternari il nostro autore pone la sua ruina con una similitudine, dicendo che tal diventò elli per quella lupa, quale è colui che volentieri acquista, et elli si truova perdere, dicendo: E quale è quei, che volentieri acquista: questo dice per sè, che volentieri acquistava della salita1 del monte. E giugne il tempo che perder lo face: e questo ancora dice per sè, che venuto era il tempo, che non montava più, anzi2 tornava a dietro: Che in tutti suoi pensier piange e s’attrista; cioè che tutti i suoi pensieri sono pieni di pianto e di tristizia. Tal mi fece; cioè me Dante piangente et attristantemi, la bestia; cioè la lupa, sanza3pace; cioè sanza quieta. Che; cioè la quale, venendomi incontro a poco a poco, Mi ripingeva; cioè mi facea tornare a dietro, là dove il Sol tace; cioè nella selva detta di sopra, dove non luce lo sole. E però dice tace, la qual di sopra disse che era oscura, e questa è la sentenzia litterale. Seguita ora la morale o vero allegorica.
Pone prima l’autore nostro similitudine, che propiamente si