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744 | i n f e r n o xxix. | [v. 58-66] |
Egina era moglie d’Asopo. Questa terra odiata da Giunone, perchè Egina era stata concubina di Giove, secondo che pone Ovidio Metamorfoseos nel vii, fu corrotta da una grande pestilenzia intanto che tutti li uomini morirono infino alli animali; e non essendo rimaso se non lo re Eaco con tre suoi figliuoli Peleo, Telamone e Foco, pregò Giove che li rendesse li cittadini morti, o elli pigliasse ancora lui. Et avuto segno da Cielo ch’elli sarebbe esaudito, e guardando presso a sè, vide una quercia tutta piena di formiche ch’andavano suso e giuso portando granella, come è di loro usanza; e vedendo questa moltitudine, pregò Giove che gli desse altri tanti cittadini; et andato a dormire, perchè era sera, vide in sogno che quelle formiche si mutavano in uomini, e la mattina svegliato, vide quelle formiche diventate uomini, e però furono chiamati Mirmidones dalla formica che si chiama così in lingua greca; e diventati uomini, vennono a lui e salutaronlo per loro re e riempierono la città. E però di questo fa comperazione l’autore, dicendo: Non credo; io Dante, che a veder maggior tristizia Fosse in Egina; cioè in quella città d’Eaco, il popol tutto infermo, Quando fu l’aere sì pien di malizia; per la pestilenzia, Che li animali infino al picciol vermo Cascaron tutti, e poi le genti antiche; di quella città Egina, Secondo che i poeti ànno per fermo; quasi dica: Li poeti questo fingono, e non l’ànno se non come per fizione, e così si dee avere per li altri, Si ristorar di seme di formiche: però che le formiche diventarono uomini, com’è detto di sopra, Ch’era a veder per quella oscura valle Languir li spirti per diverse biche; cioè dolersi per diversi luoghi di quella bolgia, ordinati e distribuiti secondo lo più e il meno della colpa; e questa è la determinazione della comperazione, e qui finisce la prima lezione.
Qual sopra il ventre ec. Questa è la seconda lezione del xxix canto, nel quale l’autor nostro tratta spezialmente delle pene che finge essere in questa x bolgia, e de’ peccatori che qui si puniscono; e dividesi in sette parte: imperò che prima pone distintamente delle pene che sono nella x bolgia, e distintamente d’alquanti peccatori; nella seconda, come Virgilio domanda due se v’è alcun latino, quivi: O tu, che con le dita ec.; nella terza, come pone la risposta di quelli due che sono latini, quivi: Latin siam noi ec.; nella quarta, come Virgilio mette Dante a domandar, quivi: Lo buon Maestro ec.; nella quinta, come l’addomandato risponde, quivi: Io fui d’Arezzo ec.; nella sesta, come Dante per alcuna cagione esce della materia, e domanda a Virgilio della condizione de’ Sanesi, e quel che vi rispose uno di quelli addomandati, quivi: Et io dissi al Poeta ec.; nella settima dichiara questo medesimo, che rispose alla domanda di Dante fatta a Virgilio chi elli è, quivi; Ma perchè sap-