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[v. 13-30] | c o m m e n t o | 741 |
tro, come noi siamo, che ancora noi siamo giunti ad esso, Lo tempo è poco omai che n’è concesso: imperò chè da passato nona a sera, sicchè poco era per rispetto di quello ch’era passato, che era la notte e più che il mezzo il di’, Et altro è da veder, che tu non vedi: però ch’avea a vedere la x bolgia e il nono cerchio che n’à in sè quattro.
C. XXIX — v. 13-21. In questi tre ternari pone Dante la risposta, che finge che facesse a Virgilio a quel che detto fu di sopra, dicendo: rispuos’io; cioè Dante, appresso; cioè immantinente, Se tu; cioè Virgilio, avessi Atteso; cioè saputa, la cagion perch’io; cioè Dante, guardava; così attentamente, Forse m’avresti ancor lo star dimesso; cioè m’avresti conceduto ch’io fossi stato ancora più. Parte; cioè tutta via, o in quel mezzo, sen gìa... Lo Duca; cioè Virgilio se n’andava, et io retro gli andava; cioè io Dante lo seguitava, già facendo la risposta; che seguita, E soggiugnendo; al detto di Virgilio: Dentro a quella cava; cioè bolgia; ecco la risposta di Dante, Dov’io tenea or li occhi sì a posta, Credo che un spirto di mio sangue; cioè di mia schiatta, pianga la colpa; cioè sua, che laggiù: cioè in quella bolgia, cotanto costa; cioè sì grande pena è; e non ci è altra esposizione.
C. XXIX — v. 22-30. In questi tre ternari finge l’autore che Virgilio li togliesse via la cagione, dicendo: Allor disse il Maestro; cioè Virgilio: Non si franga; cioè non si rompa dall’altre cose che ài a pensare, Lo tuo pensier da qui inanzi sovr’ello; cioè sopra colui che dicesti: Attendi ad altro; tu, Dante, et el; cioè colui di che tu dici, là si rimanga; cioè in quella nona bolgia, Ch’io vidi lui; dichiara Virgilio che il vide e nominalo; e questo non finge l’autore sanza cagione: imperò che questo suo parente non fu mai veduto da lui, e però finge che Virgilio che significa la ragione, come detto è di sopra, lo vedesse e nominasselo, appiè del ponticello; in sul quale noi eravamo, Mostrarti; cioè te Dante, e minacciar forte col dito: menando il dito si minaccia, tenendol fermo si dimostra, Et udi’l nominar; cioè io Virgilio, Geri del Bello; questo Geri fu figlio di Giovanni del Bello, lo quale fu della progenie di Dante, e fu morto per uno della casa de’ Gerini1, per parole che questo Giovanni avea rapportate; onde Geri suo figliuolo pensò sempre di farne vendetta. E non vedendo modo di farla, si stavano a buona guardia; quello de’ Gerini2 si contrafece a modo di uno povero lebroso, avendosi fatto dipignere sì che parea lebbroso, e passando da casa i Gerini si restò al maggior della casa che era armato, e domandolli bene per l’amore di Dio, e disse: Messere, ecco la famiglia del