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i n f e r n o xxix. |
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bolgia, et ammoniscelo dell’andar più oltre, dicendo così: La molta gente; ch’io vedea nella nona bolgia, e le diverse piaghe; ch’io vedea nelle loro persone, Avean le luci mie; cioè delli occhi, sì inebriate; di lagrime, Che dello stare a pianger eran vaghe; e qui nota la sua compassione e la reprensione di Virgilio, onde dice: Ma Virgilio mi disse: Che pur guate; tu, Dante? Perchè la vista tua pur sì soffolge; cioè si ficca, Là già tra l’ombre triste smozzicate; come mostrato è nel precedente canto? Tu non ài fatto sì all’altre bolge; come tu fai a questa: Pensa, se tu annoverar le credi; l’anime che sono in questa bolgia, Che miglia ventidue la valle volge; finge l’autore che il tondo di questa bolgia fosse ventidue miglia, per mostrare ch’era presso al centro della terra: imperò che avea a passare la x bolgia e lo nono cerchio che à dentro da sè quattro cerchi, e dentro dal quarto finge che sia lo centro, E già la luna; qui l’ammonisce del procedere oltre: con ciò sia cosa che il tempo sia brieve et ànno ancora a vedere altro; e lo tempo conceduto, secondo l’autore, era una notte e un di’ infino al centro, e parte dell’altra notte quanto fosse da mattina a mezza terza dovea logorare a passare lo centro, e l’avanzo della notte dovea logorare infino appresso all’aurora a risalire e ritornare all’oriente, ove finge essere il purgatorio intorno a uno monte, nella sommità del quale finge essere lo paradiso terrestre. E così in su l’aurora finge ritornarsi quivi, et innanzi essere uscito e ritornato nell’inferno, come si mosterrà nell’ultimo canto di questa cantica; la notte era già passata e venuto tanto del di’, che la luna era girata nell’altro emisperio, passato il centro della terra: imperò che, s’ella era sotto i piedi di Dante e di Virgilio che non erano ancor giunti al centro, dunque ella era1 passato il centro e debbasi immaginare ch’ella venia contra loro. E la cagione è questa, che Dante discendendo sempre, è ito verso l’occidente; e quando à avuto a volgere à finto che sia volto a sinistra, e questa è conveniente via all’inferno, perchè la via de’ peccati è sempre in verso occidente et in verso sinistra: imperò che in verso oriente, et in verso destra si va alle virtù. E la luna, poichè à passato l’orizzonte dell’occidente, viene in verso lo levante, e pertanto immaginiamo che fosse corso più che mezza notte2 nell’altro emisperio, dunque di quassù a noi era corso più che mezzo di’: imperò che tanto dovea essere corso di qua lo sole in verso l’occidente, quanto di là la luna verso l’oriente: imperò che nel tempo, che l’autore finge che questo discenso fosse, era l’equinozio vernale, pari lo di’ con la notte; onde si può comprendere che fosse tra la nona e il vespro, e però dice: E già la luna è sotto i nostri piedi; nell’altro emisperio di qua dal cen-
- ↑ C. M. ella avea passato
- ↑ C. M. mezza la notte nell’