76E non vidi giammai menare stregghia
77 Da ragazzo aspettato dal signorso,1
78 Nè da colui che mal volentier vegghia;
79Come ciascun menava spesso il morso
80 Dell’unghie sopra sè per la gran rabbia
81 Del pizzicor, che non à più soccorso:
82Così traeva giù l’unghia la scabbia,2
83 Come il coltel da scardova le scaglie,
84 O d’altro pesce che più larghe l’abbia.3
85O tu, che con le dita ti dismaglie,
86 Cominciò il Duca mio all’un di loro,4
87 E che fai d’esse tal volta tanaglie,
88Dimmi, s’alcun Latino è tra costoro,56
89 Che son quinc’entro, se l’unghia ti basti
90 Eternalmente a cotesto lavoro.
91Latin siam noi, che tu vedi sì guasti7
92 Qui amendu’, rispuose l’un piangendo;
93 Ma tu chi se’, che di noi domandasti?
94E il Duca disse: Io sono un, che discendo
95 Con questo vivo giù di balzo in balzo,
96 E di mostrar l’Inferno a lui intendo.
97Allor si ruppe lo comun rincalzo,
98 E tremando ciascuno a me si volse
99 Con altri, che l’udiron di rimbalzo.
- ↑ v. 77. signorso. Gli antichi in luogo di mio, tuo, suo, adoperavano mo, to, so; ma più spesso come affìssi; la qual maniera vive tuttora in alcune provincie d’Italia. Signorso vale signor suo; fratelmo, fratel mio; patreto, patre tuo. ec. E.
- ↑ v. 82. E sì traevan con l’ unghie
- ↑ v. 84. C. M. pescio
- ↑ v. 86. C. M. ad un di loro,
- ↑ v. 88. C. M. Dinne,
- ↑ v. 88 e 91. Latino, significa qui pure uscito di progenie romana. E'
- ↑ v. 91. C. M. Latin siem noi,