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c o m m e n t o |
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de’ cittadini e de’ parenti e delli amici e de’ congiunti; ma finge che
sieno fessi in diversi modi, secondo diverse spezie del detto peccato.
E però si dee notare che quelli che sono fessi, ànno commesso scisma
e fatta divisione nella santa Chiesa, la quale dè essere uno corpo
di tutti i Catolici, del quale Cristo è capo; e perchè ànno diviso
questo così fatto corpo della Chiesa, però finge l’autore che sieno
fessi ellino: quelli che sono forati nella gola et ànno tagliato il naso
e l’uno orecchie, ànno commessi scandali tra’ grandi cittadini e tra’
signori delle contrade, imperò sono così tagliati nel capo, perch’ànno
divisi quelli che sono capo delle città e delle contrade: e quelli ch’ànno smozzicato le mani, ànno messo scandalo e resia 1 tra’ parenti e congiunti: e quelli ch’ànno tagliato il capo e portanlo in mano, ànno messo scandolo et errore tra padre e figliuolo. E veramente
queste pene sono convenientemente fitte 2 dall’autore: imperò che
chi divide la carità e l’unione, degnamente dè essere diviso nell’inferno; et allegoricamente si convengono a quelli del mondo, che
sempre stanno divisi col pensiere nelli modi detti di sopra, come
s’adatterà meglio quando sporremo ciascun passo. Torniamo adunque al testo che dice: Già veggia; qui pone una similitudine, dicendo
che mai botte non fu sì forata per perdere tempano o lulla, com’elli
vide forato uno peccatore dal mento alla parte di sotto; e dice così:
Già veggia; cioè botte, per mezzul; cioè tempano, perder o lulla: lulle sono le parti dal lato del tempano, Com’io; cioè Dante, vidi un; cioè peccatore, così non si pertugia; cioè non si fora, Rotto dal mento; questo peccatore, in fin dove si trulla; cioè infino alla parte di rieto di sotto, disonesta a nominare, onde si fa spesse volte sono per ventosità del ventre. Tra le gambe; di quel peccatore, pendevan le minugia; cioè l’enteriora; cioè le budella, La curata; cioè fegato, cuore e polmone, parea; cioè si vedea, e il tristo sacco; cioè lo stomaco, o quella parte che è di sotto allo stomaco; e chiamalo il tristo sacco per quello che vi sta dentro; cioè la feccia, e questo dice ch’ancora si vedea, Che merda fa di quel che si trangugia; cioè che fa feccia di quel che si mangia e mandasi giuso: imperò che trangugiare è mandar giuso; et è chiamata la feccia per sì fatto vocabolo, perchè deriva da merum che viene dire puro, quasi per contraria cosa non pura; o vero a moera 3 che viene a dire divisione: imperò che nello
smaltire si divide questo grosso umore dal nutrimento del corpo. E
perchè l’autore sapea che dovea usare sì fatti vocaboli, però mise
inanzi la scusa nel principio del canto, quando disse: Chi poria mai ec.
- ↑ C. M. et eresia
- ↑ C. M. finte - Il nostro Cod. - fitte - alla maniera latina - E.
- ↑ C. M. o vero a meris, che viene