Pagina:Commedia - Inferno (Buti).djvu/73

   [v. 10-21] c o m m e n t o 29

sinistra. Ma poi ch’elli conosce il suo errore, vede lo vero bene, ch’elli desidera essere in cielo e rilucere in su la sommità del monte delle virtù, per le quali conviene l’uomo montare a passo a passo, infinchè pervenga ad esso luogo, ove riluce. E questo intese l’autore per lo pianeta che vestiva de’ raggi suoi le spalle del colle, che non è altro che il vero e sommo bene, cioè Idio, che veste di luce di sapienzia li alti animi umani dati alle cose alte e celestiali, e non terrene, lo qual mena altrui diritto per ogni calle; cioè in qualunque via di vita l’uomo si trovi, se elli guarda questo bene, immantanente torna a dietro della via sinistra de’ vizi alla forca delle due vie, e piglia la diritta che mena al sommo bene; e così dirizza in verso lui, et allora si posa la paura, quando l’uomo si vede pigliare conoscimento del sommo bene e vedesi giunto al conoscimento della vita virtuosa, passando1 la via manca mondana, piena d’errori; e questa paura sta pur la notte, cioè mentre che la mente sta cieca innanzi che vegga la somma luce: chè poi che la vede, si rappaga e racqueta. E dice che con lamento grandissimo l’uomo passa la sua scurità, quando s’avvede del suo smarrimento e del suo errore et inganno, che à seguìti i falsi beni, credendosi seguitare il vero e sommo bene, infino a tanto che s’accosta al monte delle virtù, e vede i raggi del sommo bene rilucere nelli animi alti de’ virtuosi. Et è da notare qui che, benchè dica: Là dove terminava quella valle, Che m’avea di paura il cor compunto, non s’intende che la via manca de’ vizi sempre termini a questo colle2 delle virtù: perocchè molti vanno per questa a perdizione: però che di questa via viziosa non escono mai; ma tanto vi s’avviluppano che vi si perdono dentro, non riconoscendosi mai. Altri sono che, aiutati dalla grazia preveniente di Dio, si riconoscono e vengono al monte delle virtù, ove termina la valle scura de’ vizi, della quale impaurisce chiunque à tanta grazia da Dio che si riconosca. Ma non vi possono salire infino a tanto che non tornano a dietro da’ peccati, riconoscendoli prima, e poi abbandonandoli, e poi cominciano a salire coi gradi delle virtù, facendo penitenzia de’ peccati tanto, che vengono alla sommità del monte, ove è lo stato dell’innocenzia. E questo basti a questa parte.

C. I - v. 22-30. In questi tre ternari lo nostro autore manifesta per una similitudine, come rinvigorito, poi che uscito fu3 della selva, riposatosi e considerato lo pericolo, in che era stato, si dirizzò verso il monte dicendo: E come quei, che con lena affannata; cioè

  1. C. M. passato.
  2. C. M. calle.
  3. Maniera comune ai nostri classici, i quali imitando i Latini antiponevano l’attributo al verbo primitivo. Per questo Dante nel C. v dell’Inferno, disse: dove nata fui. E.