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[v. 121-142] c o m m e n t o 683

conoscenza. Et è qui notabile che l’uomo è fatto per affaticarsi alle virtù, e per diventare savio et esperto e buono; e non a mangiare et a bere, come le bestie che seguitano l’appetito naturale.

C. XXVI — v. 121— 142. In questi sette ternari et uno verso finisce l’autore questo canto; e finge che Ulisse, compiendo la sua narrazione, manifesta 1 come essi perirono, dicendo così: Li miei compagni fec’io sì acuti; cioè si volenterosi io Ulisse, Con questa orazion picciola; la quale è detta di sopra, al cammino; ch’io volea fare, Ch’appena poscia li avrei ritenuti; s’io non avessi voluto andare; E volta nostra poppa nel mattino; cioè volta la parte di retro del legno inverso l’oriente, e la prora in verso l’occidente, De’ remi facemmo ale al folle volo; cioè cominciammo a andare co’remi; e dice folle volo: imperò che stoltizia è a voler fare quello, che è negato dalla natura, Sempre acquistando dal lato mancino; cioè sempre tenendo in verso la parte del mezzo di’, ben ch’andassono in verso l’occaso. Tutte le stelle già dell’altro polo Vedea la notte: li poli sono li capi del perno in su che 2 figura lo cielo, e l’uno è sopra di noi e chiamasi artico, o vero settentrionale, lo quale li volgari chiamano tramontana; l’altro opposito a quello è di sotto in verso il mezzo di’ e chiamasi antartico; cioè contrario al nostro, lo quale noi non veggiamo, e questa è l’altra tramontana; onde vuole significare che già erano iti tanto innanzi, che vedeano le stelle che sono nell’altro polo, che non le possiamo vedere noi, e il nostro; cioè polo, tanto basso; cioè quello, che a noi è alto, era 3 allora basso: imperò che, se stando in questo emisperio, ci accostassimo a uno canto della terra sì, che potessimo vedere dell’altro emisperio, parrebbono quelle stelle esser di sotto a noi, le quali noi vedessimo di là; e così a chi fosse di là, parrebbono le nostre di sotto a lui; e questo è, perchè il cielo è tondo e circunda tutta la terra, igualmente distante da quella da ogni parte, o vero lato; e per tanto dovunque egli è, à parte del cielo sopra il capo, e l’opposita parte li viene sotto li piedi, e le parti dal lato li vengono d’intorno; e però dice: Che non surgea fuor del marin suolo; cioè che non vedeano le nostre stelle che sono nel nostro polo artico, se non tanto quanto faceano la volta verso la marina, et allora nasceano quando cominciavano a dare la volta di verso marina; et allora tramontavano quando aveano compiuto di girare la parte di verso la marina, le quali a noi mai non tramontano, nè nascono: però che tutta la notte le veggiamo dare gran giro del cielo, e lo di’ ritornano al punto onde cominciano a volger la sera. Onde se le potessimo vedere il di’ come la notte, che lo splen-

  1. C. M. lo suo naufragio, dicendo
  2. C. M. in su che gira lo cielo,
  3. C. M. alto, a loro è basso: imperò