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680 | i n f e r n o xxvi. | [v. 85-111] |
Ma l’autor nostro finge che mai non tornasse a casa; ma come desideroso di cercare del mondo, e divenire esperto, perisse nel mare oceano, come apparirà di sotto: e per verificare la sua fizione non lo nomina; ma vuole che per la circunscrizione sia manifesto: e non è manifesto onde l’autore traesse questa fizione, se non che la fece da sè.
C. XXVI — v. 85-111. In questi nove ternari l’autor nostro finge la risposta che fece Ulisse alla domanda di Virgilio, dicendo così: Lo maggior corno; come detto fu di sopra, l’autore à finto che in una fiamma, la quale avea due punte divise, fossono Ulisse e Diomede, e che l’una punta fosse Ulisse e l’altra Diomede: ora finge che quella d’Ulisse fosse maggiore che quella di Diomede, perchè fu più fraudulento di lui; e però dice: Lo maggior corno della fiamma antica; dice, perchè gran tempo erano stati in quella fiamma; cioè bene m m.1 anni e più, Cominciò a crollarsi mormorando; come spesso veggiamo fare al nostro fuoco, che sogliono dire li semplici che significa che altri parli di coloro che sono intorno a tal fuoco; ma l’autor nostro dichiara la cagion, dicendo: Pur come quella; cioè fiamma, cui vento affatica; ponendo similitudine del nostro fuoco, quando è mosso da ventosità che esca della casa2 arsa; e questa è la cagione, che la fiamma mormora e crollasi qua e là per lo vento ch’esce della cosa arsa. Indi; cioè poscia, menando qua e là la cima; cioè la sommità della fiamma, Come fosse la lingua che parlasse; fa qui similitudine che così sè3 menava la punta della fiamma, come si mena la lingua quando parla, Gittò voce di fuori, cioè da sè quella fiamma, e disse: Quando Mi diparti’ da Circe; cioè da quella donna che segnoreggiava Eolia, che è una isola presso alla Cicilia; e qui è da sapere che questa Circe era una donna, maga et incantatrice che con suoi beveraggi mutava li uomini in varie bestie; e per questo era detta idia: et era molto bella, e però era detta figliuola del sole; e quando Ulisse andò vagando per mare, pervenne a questa isola e discese in essa; onde li suoi compagni, abbeverati co’ beveraggi di Circe, furono mutati in varie bestie. Ulisse, innanzi che andasse per l’isola, entrò nel tempio di Mercurio ch’era nelle piagge, e qui adorò, e quivi fu ammonito dallo idio che si guardasse dai beveraggi di Circe; e per tanto, andando poi al palagio di Circe, si guardò da’ suoi
beveraggi, onde Circe conosciuta la sua bellezza et astuzia, si innamorò di lui e tennelo più d’un anno, ond’ella concepette di lui e partorì uno figliuolo ch’ebbe nome Telogono4 dal quale fu morto Ulisse