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la tua lingua si sostegna: del parlare: cioè fa che sia1 cheto. Lascia parlare a me; cioè Virgilio, ch’io ò concetto; cioè ò nell’animo, Ciò che tu vuoi; cioè vuogli tu, Dante; e questo finge, perchè la ragione non è divisa dalla volontà: imperò che una medesima anima è quella che vuole e che ragiona, ch’ei sarebbono schivi; cioè Ulisse e Diomede schiferebbono cioè, Perch’ei fur Greci; assegna la cagione, forse del tuo detto; cioè del tuo parlare. E questo finge l’autore, per far verisimile lo suo poema, che a quelle persone che non sono state di suo tempo, sempre finge che per altrui che per lui si parli, sì come appare di sopra nel processo. Poi che la fiamma fu venuta quivi; ora induce a parlar Virgilio, dicendo che, poi che quella fiamma fu venuta a quel luogo dove erano Virgilio et elli, Dove parve al mio Duca; cioè poi che parve a Virgilio, tempo e loco; tempo e luogo si vuole sempre aspettare a parlare, et è questo notabile, In questa forma lui parlare audivi; cioè Virgilio io Dante, come si dirà di sotto.

C. XXVI — v. 79-84. In questi due ternari l’autor finge la

domanda che fece Virgilio a quelli due, ch’erano nella fiamma cornuta, secondo il suo volere, dicendo: O voi, che siete due dentro a un fuoco; cioè, o Ulisse e Diomede, i quali siete dentro due a cotesto foco; e non li nomina qui, perchè furono nominati di sopra, S’io meritai di voi; io Virgilio, mentre ch’io vissi; cioè mentre ch’io fu’ in vita, e replica lo suo dire per uno colore retorico che si chiama conduplicazione, dicendo: S’io meritai di voi assai o poco; cioè s’io vi feci servigio, Quando; vissi: per lo servigio si merita servigio; e per lo piacere, piacere, Quando nel mondo; manifesta ora il tempo e lo luogo, dicendo: Quando nel mondo; e questo è il luogo, li alti versi scrissi; qui manifesta lo tempo; cioè quando scrisse la sua Tragedia, ove trattò d’Enea, facendo menzione d’Ulisse e di Diomede, contandoli nel suo poema, come appare a chi l’à letto, Non vi movete; ecco la sua domanda prima; ma l’un di voi dica; cioè Ulisse, e di costui s’intende per quello che di lui seguita, et ora specifica singularmente quel che vuole sapere, Dove per lui perduto a morir gissi; per questo che soggiugne s’intende d’Ulisse e non di Diomede: però che manifesto è che Diomede non tornò alla sua città che si chiama Argos, che era in Calidonia; anzi si pose in Calavra e compose quivi cittadi, secondo che dice Virgilio. Ma, secondo lo Troiano, tornò, poi che fu stato in esilio uno tempo, ad Argo nel regno d’Egea sua donna: imperò che Ulisse andò errando per mare grande tempo, secondo che fingono li autori; e finalmente tornò a casa sua, e fu morto da Telegono2 suo figliuolo, e di Circe maga.

  1. C. M. fa che tu stii cheto.
  2. C. M. da Telegno