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678 | i n f e r n o xxvi. | [v. 64-69] |
anno in una isola presso a Gaeta, la quale fu chiamata Gaeta primamente da Enea, non mi potè vincere l’amore, la dolcezza del figliuolo e la pietà del padre mio vecchio, nè il debito amore della mia moglie Penelope, ch’io non mi volessi certificare del mondo e della vita umana; ma misimi per alto mare con uno legno e con quella compagnia piccola che m’era rimasa, la quale mai non m’abbandonò, e cercai tutto lo ponente infino al Marrocco; e già eravamo vecchi, quando venimmo alle colonne d’Ercole, poste da lui per segno che l’uomo non dee andare1 più oltre e passammo oltre tra Setta e Sibilia, e confortati ch’io ebbi li compagni, pigliamo voga in verso lo cadimento del sole, et in verso mano manca sempre acquistando; e già eravamo iti cinque mesi tanto oltre, che vedevamo le stelle dell’altro emisperio, et apparveci uno nero da lungi che ci parea una montagna più alta, che mai n’avessi veduta veruna, di che pigliammo allegrezza; ma tosto ci tornò in pianto: imperò che da quella terra venne una parimula2 et uno turbinio di vento che percosse tanto forte lo legno nostro, che lo fece girare tre volte, e la quarta volta la prora andò giù e la poppa in insù, e il mare si richiuse sopra noi. E qui finge l’autore che finisce Ulisse lo suo parlare, et elli finisce lo suo canto. Ora veduta la sentenzia litterale, è da vedere lo testo con le esposizioni.
C. XXVI — v. 64-69. In questi due ternari l’autor nostro finge che pregasse Virgilio che li concedesse di aspettar quella fiamma, perchè avea desiderio di parlargli; onde dice: S’ei posson Parlar; quelli che ài contato; cioè Ulisse e Diomede, dentro da quelle faville; nelle quali sono, diss’io; cioè Dante, Maestro, assai ten prego; cioè te Virgilio: imperò la ragione significata per Virgilio è maestra alla sensualità significata per Dante, E ripriego; cioè un’altra volta priego, che il priego vaglia mille; cioè prieghi, Che non mi facci dell’attender niego; cioè dell’aspettare, Fin che la fiamma cornuta; cioè quella ov’era Ulisse e Diomede, ch’avea due punte a modo di corna, qua vegna: imperò che le fiamme andavano in verso il ponte ov’elli erano: Vedi che del disio; cioè per lo desiderio ch’io ò di parlargli, ver lei mi piego; cioè per la grande affezione che n’avea, finge che si piegasse in verso la fiamma; e qui non è altra esposizione.
C. XXVI — v. 70-78. In questi tre ternari l’autor nostro finge la risposta che fece Virgilio al suo priego, accettandolo e commendandolo; e poi induce lui a parlare, quivi: Poi che la fiamma ec. Dice così: Et elli; cioè Virgilio rispose, a me; cioè Dante: La tua preghiera è degna Di molta loda; ecco come commenda lo priego di Dante, e come
l’accetta, ond’io; cioè Virgilio, però l’accetto; Ma fa; tu, Dante, che