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[v. 55-63] | c o m m e n t o | 675 |
mezzo, passato l’anno, e volendo ritornare Polinice per lo regno, Etiocle glie ne negò, onde Polinice si mosse con grande esercito di sette re di Grezia, et andonne a Tebe et assediolla, e finalmente dopo molte battaglie vennono a singular battaglia Etiocle e Polinice, e per avvicendevoli ferite caddono amendu’ morti, sì che poi la notte, andando Argìa moglie di Polinice a ritrovar lo corpo suo per arderlo, come era usanza, ritrovossi con Antigone sirocchia del detto Polinice, e lavato lo corpo e portatolo a uno fuoco ove s’ardea lo corpo d’Etiocle, non sappiendo però che fosse Etiocle, gli aggiunsono insieme, et incontanente la fiamma di sopra si dividè in due; e per questo s’avvidono che quello era lo corpo di Etiocle. E pertanto fa l’autore questa similitudine, dicendo che così parea fatta la fiamma ch’elli vide, e però dice: Dov’Etiocle col fratel; cioè con Polinice, fu miso; cioè messo da Antigone e da Argìa?
C. XXVI — v. 55-63. In questi tre ternari l’autor nostro pone la risposta, che finge che facesse Virgilio alla sua domanda, così dicendo: Rispuosemi; cioè Virgilio a me Dante: Là dentro; cioè in quella fiamma, si martira Ulisse e Diomede; questi furono due baroni di Grezia, i quali furono insieme con li altri re e signori di Grezia alla destruzione di Troia, e furono maliziosi uomini e grandissimi compagni; e però i Greci commetteano a questi due ogni grande fatto che richiedesse grande ingegno, e sempre a questi fatti andavano insieme, et ogni fraudulento consiglio venia dal loro; e però finge l’autore che fossono tormentati insieme in un fuoco, e però dice: e così insieme Alla vendetta; cioè alla pena, alla quale sono giudicati nello inferno, vanno; cioè Ulisse e Diomede, come all’ira; cioè come andarono, quando erano nel mondo, all’ira; cioè al peccato. E convenientemente lo peccato si chiama ira: imperò che all’uomo fu dato da Dio la concupiscibilità, perchè desiderasse il bene; e la irascibilità, perchè schifasse lo male; e la ragione, perchè conoscesse lo bene dal male. Addiviene che la ragione pratica s’inganna spesse volte, e giudica esser bene quel che non è, e male quel che non è; e però addiviene che questi uomini maliziosi, che sono tenuti savi secondo il mondo, danno frodolenti consigli, parendo loro spegnere un grande male e fare uno grande bene; la quale cosa fia per contrario, e però ira li muove ad ingannare con loro ingegno li altri uomini. E pertanto ogni peccato mentale si può chiamare ira; li corporali e carnali, no; e perciò notantemente disse di sopra, che senza ira non entrerebbono nella città Dite, perchè quivi si puniscono li peccati mentali; e chiamali mentali: imperò che, benchè in alcuni s’aoperi lo corpo, lo suo movimento viene dalla malizia della mente. Seguita E dentro dalla lor fiamma si geme; cioè dal lor fuoco si porta pena; cioè per loro, L’aguato del caval, che fe la porta Onde uscì de’ Ro-