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674 | i n f e r n o xxvi. | [v. 43-54] |
sopra, e come Virgilio li manifesta quello che e’ vide; unde dice così: Io; cioè Dante, stava sopra il ponte; che era sopra l’ottava bolgia, a veder; cioè quello ch’era nell’ottava bolgia, surto; cioè fermo, come si dice surta l’àncora, quando è fermata, Sì; cioè per sì fatto modo che, s’io non avessi un ronchion preso; di quegli scogli del ponte, in sul quale io mi fermava, Caduto sarei giù; della bolgia, sanza esser urto; cioè sanza esser sospinto. Et è qui notabile che l’uomo non può durare a star ritto, che non si muova qualche parte del corpo o piè o mano o capo o qualche membro, altrimenti cadrebbe giù, se già non s’appoggiasse; e la cagione è: imperò che l’anima si ritira dall’attività, ch’ella à col corpo, tutta a sè et abbandona1 lo corpo, viene meno come quando l’uomo dorme o quando muore. Seguita come Virgilio, avvedendosi del suo stare atteso, lo dichiara dicendo: E il Duca; cioè Virgilio, che mi vide tanto atteso; cioè me Dante, Disse; a me: Dentro dai fuochi son gli spirti: de’ peccatori ch’ànno dato fraudulento consiglio, Ciascun; spirito, si fascia di quel ch’egli è inceso; cioè della fiamma che l’incende, sì come stato è nel mondo acceso a consigliare con inganno a fare perire il prossimo.
C. XXVI — v. 49-54. In questi due ternari risponde l’autore a Virgilio che ben li parea così, e finge l’autore com’elli domandò Virgilio chi era dentro a una fiamma, ch’era divisa di sopra, come quella di quelli due fratelli tebani, dicendo: Io; cioè Dante, risposi; alle parole dette di sopra da Virgilio: Maestro mio, per udirti; cioè per udir te, Son io più certo; che prima; ma già m’era avviso; cioè mi parea, Che così fosse; come tu ài detto, e già voleva dirti; e soggiugne la domanda sua, dicendo: Chi è in quel fuoco, che vien sì diviso Di sopra; e questo dimostra ch’elli vedesse venire una fiamma, ch’avea due punte, che par surger; cioè levarsi, della pira; cioè della catasta, delle legne2 che fu fatta da Antigone sirocchia e da Argìa moglie di Polinice, per ardere lo corpo di Polinice; e per caso, portato lo corpo di Polinice da loro al fuoco ove s’ardea lo corpo d’Etiocle, la fiamma si divise come si dirà ora. Recita Stazio nel libro che fece di Tebe come Etiocle e Polinice furono fratelli e figliuoli del re Edipo di Tebe, li quali, poi che il padre s’accecò, avendo la signoria partironla in questo modo, che ciascuno dovesse tenere lo regno un anno, e l’altro andasse a procacciare sua ventura; e così toccò lo primo anno ad Etiocle, e Polinice andò errando per la Grezia, e finalmente pervenne al re Adrastro3, re d’Argo lo
quale li diede la figliuola chiamata Argìa per moglie. Et in questo