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[v. 1-12] | c o m m e n t o | 667 |
villano che sta la state in sul poggio e vede la sera, quando lo sole è tramonto 1 e le zenzare sono uscite fuori e tutta la valle è piena di lucciole sopra li suoi colti e vigneti; così vide elli tutta l’ottava bolgia, quando fu in sul mezzo del ponte che valicava, piena di fiamme: et aggiugne un’altra similitudine che, come Eliseo profeta che fe vendetta con li orsi, vide il carro d’Elia, quando fu ratto al cielo da’ cavalli, che subito si levarono in suso in verso il cielo, che non potea vedere se non la fiamma andare in su, come nuvoletta; così parea vedere a lui per quel fosso andare le fiamme, ch’aveano ciascuna uno peccatore e non si vedea se non la fiamma; onde dice che stava sopra il ponte sì fermo, che se non si fosse attenuto ad uno ronchione, elli sarebbe caduto sanz’essere sospinto. E dice che allora Virgilio che il vide stare sì attento, lo dichiarò e disse: Dentro da codeste fiamme sono spiriti fasciati da esse; et allora Dante risponde che ben li pare così, e domanda Virgilio chi era dentro a una fiamma che vedea venire, la quale avea due punte, come quella che arse due fratelli tebani; cioè Etiocle e Polinice. Allora Virgilio li rispose che in quella fiamma erano Ulisse e Diomedi greci, i quali andavano insieme alla pena come andarono al peccato; e racconta come quivi portano pena dello inganno del cavallo, col quale presono e disfeciono Troia, della quale uscirono i Romani, come appare per l’istorie, e lo inganno che feciono a conoscere Achille, ch’era appiattato tra le figliuole del re Licomede, re di Schiro; e lo inganno che feciono alla rocca del re Priamo, quando tolsono il Palladio. E qui finisce la prima lezione del canto: ora è da vedere il testo con l’esposizioni.
C. XXVI — v. 1-12. In questi quattro ternari l’autor nostro, facendo digressione dalla materia sua, usa in verso la sua città uno colore retorico, che si chiama in lingua greca apostrofa, et in lingua latina si chiama esclamazione; e fassi quando li autori ànno parlato in terza persona, e poi divertono lo parlare in seconda persona, o a persona assente, o a luogo, come fa ora l’autor nostro, ch’avendo parlato di cinque cittadini fiorentini che à finto che siano nella settima bolgia, perchè commisono furto e ladroneccio, volge lo parlare suo alla sua città, usando colore sopraddetto in materia derisoria: imperò che s’usa in quattro modi, com’appare nella Poetria novella. E fa l’autore due cose, perchè prima pone la detta riprensione 2; nella seconda, per ritrarli dal male, aggiugne uno tristo annunzio d’aversitade, et è la seconda parte, quivi: Ma se presso ec. Riprende prima, e però egli schernendo la sua città, dice: Godi, Fiorenza; et è qui ancora una figura che si chiama ironia, quando le parole s’in-