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C A N T O XXVI.
1Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande,
Che per mare, e per terra batti l’ali,
E per lo Inferno il tuo nome si spande.
4Tra li ladron trovai cinque cotali
Tuoi cittadini, onde mi vien vergogna,
E tu in grande onranza non ne sali.1
7Ma se presso al mattin del ver si sogna,
Tu sentirai di qua da picciol tempo
Di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna.
10E se già fosse, non saria per tempo:2
Così foss’ei, da che pur esser dee,
Che più mi graverà, con più m’attempo.3
13Noi ci partimmo, e su per le scalee,
Che il buior n’avea fatto scender pria,4
Rimontò il mio Maestro, e trasse mee.5
16E proseguendo la solinga via
Tra le scheggie e tra’ rocchi dello scoglio,
Lo piè sanza la man non si spedia.
- ↑ v. 6. C. M. orranza
- ↑ v. 10. C. M. non seria
- ↑ v. 12. C. M. com più m’attempo. — Con per com vive tuttora nella provincia Metaurense, per la facilità dello scambio dell’m in n. Così spene, vogliano in vece di speme, vogliamo. E.
- ↑ v. 14. Che n’avien fatti i borni a scender pria,
- ↑ v. 15. Mee; me, come per eufonia pronunzia anch’oggi il popolo in Toscana. E.