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[v. 94-102] | c o m m e n t o | 653 |
pente, e quei; cioè il serpente, lui; cioè Buoso, ragguardava; cioè ponea mente. Per questo finge Dante che Buoso ponea mente la fraude del furto, per pigliarla; et ella ponea mente lui, per darlisi: imperò che il dimonio sta apparicchiato 1 a dare questa fraude a chi l’accetta, o vogliamo intendere che nel mondo l’uno avea preso esempro dall’altro a furare, o che l’uno avea indotto l’altro a furare, e che facessono a vicenda, come si dirà di sotto. L’un; cioè Buoso fummava forte, per la piaga; del bellico, e l’altro; cioè il serpente, per la bocca Fumava forte, e il fummo si scontrava; dell’uno e dell’altro insieme. Per questo significa l’autore che la volontà corrotta della concupiscenzia, ferita dalla fraude consente alla fraude, et accordasi insieme la volontà depravata, ch’è significata per lo fummo, con la ignoranzia e cechità 2 che genera la fraude, che è significata per lo fummo.
C. XXV — v. 94-102. In questi tre ternari l’autor nostro induce certe mutazioni recitate da’ poeti, per mostrare questa che à cominciata essere più mostruosa, che le dette da loro, dicendo così: Taccia Lucano. Questo Lucano fu poeta da Cordòva di Spagna, nipote del grande Seneca morale, che fece lo suo poema della discordia civile che fu tra Cesare e Pompeo; nel quale poema nel libro ix descrive lo cammino, che fece Catone con l’esercito per lo diserto di Libia, dov’era grandissima copia di serpenti; e finge che stando quello esercito nel diserto, et andando per quello e dormendo, avvenne caso che uno serpente, che è chiamato seps o sepe, punse la gamba d’uno cavaliere che si chiamava Sabellio; per la quale puntura finge Lucano che Sabellio distillasse tutto in umore, e convertissesi in quello umore non pure la carne; ma ancora l’ossa sì, che tutto si trasmutò in quello umore, niente rimanendo della umana effigie. E così finge che un altro serpente, che si chiama praester, pugnesse Nassidio che fu un altro cavalieri del detto esercito, lo quale enfiò tanto per la detta puntura, che perdè ogni figura umana, e parea come una botte, perduti tutti liniamenti del corpo umano; e benché Lucano in quella parte dica ancora delli altri, lo nostro autore fa pur menzione di questi due, dicendo: omai; cioè oggimai, dove si tocca; nel detto libro, Del misero Sabello e di Nassidio; li quali furono mutati per lui, com’appar di sopra, Et attenda a udir; cioè Lucano, quel, ch’or si scocca; cioè si narra per me Dante in quell’avvicendevole permutazione ch’io qui fingo: imperò che niuna delle sue è mostruosa, come è questa. Taccia di Cadmo e d’Aretusa Ovidio. Similmente vuol mostrare che Ovidio, che fece il libro delle trasmutazioni che si chiama Metamorfoseos,