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i n f e r n o xxv. |
[v. 67-78] |
come il granello del pepe, e gittossi all’uno de’ due compagni che erano rimasi, e ferilli pungendoli il bellico, e cadde giù in terra dinanzi al ferito disteso. E lo spirito punto lo ragguardò e nulla disse; ma fermatosi lo ragguardava sbadigliando come se sonno o febbre l’assalisse: e il serpente ragguardava lui, et amendu’ fumavano forte, l’uno per la piaga e l’altro per la bocca, e li fumi si scontravano insieme. Et usa l’autore digressione, dicendo che nè Lucano o Ovidio, che usarono di porre trasformazioni, mai non le posono a questo modo che le porrà ora elli; cioè che due nature si mutino l’una nell’altra, cambiando le forme le loro materie. Et aggiugne lo modo, dicendo che il serpente fece della coda, dividendola 1, le gambe e li piedi umani; e l’uomo fece delle due gambe, unendole, la coda del serpente; all’uomo entrarono le braccia nelle ditella e scorciarono sì, che rimasono grandi, quanto si convenia al serpente; et al serpente crebbono le branche d’inanzi, quanto conveniano essere le braccia dell’uomo; e li piedi di rietro del serpente si giunsono insieme e fecesene lo membro umano generativo; e quello dell’uomo si fesse per mezzo e fecesene due piedi di serpente; poi lo serpente mise tutti li peli alle parti ove si convenia all’uomo, e l’uomo li gittò via; lo serpente poi si levò ritto, e l’uomo cadde giù carpone, come sta lo serpente; lo serpente del capo suo steso 2 stirò della lunghezza in verso le tempie tanto, che fece li orecchi umani, e dall’altro ch’era d’avanzo fece lo naso umano e le labbra 3, come si convenia ad uomo, e l’uomo stese lo muso a modo di serpente, e ritrasse li orecchi nella testa, come fa la lumaca le corna; e la lingua umana si fendè e diventò forcuta, e la lingua serpentina s’unie et allora restò lo fumare dell’uno e dell’altro; e l’uomo fatto serpente fugge fischiando, e il serpente fatto uomo parla e sputa. Poi si rivolse a quel ch’era rimaso, dicendo: Io voglio che Buoso corra carpone, come ò fatt’ io, per questa bolgia. E così dice Dante che vide la settima bolgia mutare e trasmutare, e scusasi che, se lo stile qui fosse scuro et intricato, ne sarebbe cagione la novità della materia. E dice che avvegna che li occhi suoi fossono confusi e l’animo smagato, quelli due; cioè l’uno ch’era rimaso delli tre che non era mutato; e l’altro che di serpente era fatto uomo, non poterono sì chiusi fuggire, ch’ elli non conoscesse che lo non mutato era messer Puccio Sciancato; e l’altro di serpente fatto uomo era messer Francesco de’ Cavalcanti, lo quale, o Gaville, ancora tu il piagni. Veduta la sentenzia litterale, ora è da vedere lo testo con le allegorie, o vero moralitadi.
- ↑ C. M. dividendola in le gambe
- ↑ C. M. steso uscitte della lunghezza
- ↑ C. M. lo naso umano e la barba, come si conviene ad omo,