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c a n t o xxv. | 639 |
133E la lingua, che avea unita e presta
Prima a parlar, si fende; e la forcuta
Nell’altro si richiude, e il fummo resta.
136L’anima, ch’era fiera divenuta,
Sufolando si fuggì per la valle,1
E l’altro dietro a lui parlando sputa.
139Poscia li volse le novelle spalle,
E disse all’altro: Io vuo’, che Buoso corra,2
Com’ò fatt’io, carpon per questo calle.3
142Così vid’io la settima zavorra
Mutare e trasmutare, e qui mi scusi
La novità, se fior la penna aborra.
145Et avvegna che li occhi miei confusi
Fossono alquanto e l’animo smagato,4
Non poter quei fuggirsi tanto chiusi,
148Ch’io non scorgessi ben Puccio Sciancato;
Et era quel che sol de’ tre compagni,
Che venner prima, non era mutato:
151L’altro era quel, che tu, Gaville, piagni.5
- ↑ y. 137. Si fugge sufolando
- ↑ v. 140. Io vuo’. Vuo’; potrebb’ essere la voce vo’, troncata da voio e framessovi l’u, come in vuoglio, vuogli ec., al modo che incontransi negli antichi. Oggi a vuo’ si preferisce vo’. E-
- ↑ v. 141. C. M. Come faccio, carpon
- ↑ v. 146. C. M. Fusser
- ↑ v. 151. C. M. Gavilli, piangili.
C O M M E N T O
Al fine delle sue parole ec. Avendo trattato l’autore nel canto passato del ladroneccio, in questo canto xxv intende di trattare di quel medesimo; ma in altra spezie, cioè nella seconda e terza, come se vedrà, quando sporremo lo testo. E dividesi questo canto principalmente in due parti, perchè prima tratta della seconda spezie del furto, oltra quello che continua di Vanni Fucci; nella seconda tratta della terza spezie, quivi: Come il ramarro, ec. La prima, che sarà